Possibile ricorso della Prefettura di Foggia contro la decisione del Tribunale di prevenzione di sottoporre a controllo giudiziario la Lavit spa, colosso della lavanderia industriale con sede in zona Asi a Foggia. Dominus, Michele D’Alba, già raggiunto da interdittiva antimafia per la “Tre Fiammelle” ed indagato dalla Dda per favoreggiamento della mafia foggiana. A riportare la notizia è la gazzetta del mezzogiorno.
Il controllo giudiziario, della durata di due anni, prevede che l’azienda sia traghettata da un amministratore esterno che dovrà bonificare la società per poi redigere una relazione finale. Nel frattempo, Lavit può tornare sul mercato partecipando a gare pubbliche. Ma per la Prefettura di Foggia potrebbero esserci i presupposti per un ricorso in appello che tenga in piedi l’interdittiva antimafia emessa lo scorso anno dal prefetto Maurizio Valiante.
La questione va sdoppiata, da un lato ci sono le misure di prevenzione, dall’altro il processo amministrativo nel merito, in quest’ultimo caso si attende il pronunciamento del Tar dove Lavit ha presentato appello.
Al centro c’è la figura di Michele D’Alba, accusato di aver favorito la mafia non denunciando le estorsioni, anzi siglando un “patto di non parlare” nella sala d’attesa della questura di Foggia con figlio e genero. Così facendo avrebbe evitato di denunciare il racket. Per questo, la Dda lo ha messo da tempo sotto inchiesta. Inoltre, su di lui potrebbero pesare le recenti dichiarazioni del pentito Giuseppe Francavilla detto “Capellone” che agli inquirenti ha detto esplicitamente: “L‘ho conosciuto nel 2013 e sapevo che pagava – è riportato sul verbale di interrogatorio –. Lui è inserito nella lista dei tre mesi che hanno i Moretti. Io con lui volevo iniziare un’attività per aprire una lavanderia industriale. Lui all’epoca aveva la ditta di pulizie le Tre Fiammelle. D’Alba me lo portò Ivan D’Amato. Mi disse che era un’ottima idea ma ci voleva un po’ di tempo. Poi sono stato arrestato per l’estorsione al bar Serano e quando sono uscito ho saputo che l’aveva fatta lui la lavanderia”.
Il Tribunale di prevenzione, forse anche per questioni sociali e per tutelare i lavoratori, ha intanto optato per il controllo giudiziario ritenendo i contatti tra imprenditore e mafia non strutturali. Non ci sarebbero prove del pagamento del pizzo nonostante il ritrovamento dei carabinieri della lista delle estorsioni con su scritto “Tre Fiammelle 4mila ogni tre mesi”. La battaglia giudiziaria sembra ancora molto lunga.