Avviso conclusione indagini per Michele D’Alba, noto imprenditore foggiano delle “Tre Fiammelle”, azienda raggiunta da una interdittiva antimafia. Stando all’impianto accusatorio, D’Alba avrebbe favorito alcuni esponenti della Società Foggiana non denunciando le estorsioni. In una lista del racket sequestrata dai carabinieri ai clan della città c’era scritto: “Tre Fiammelle, 4mila ogni tre mesi”.
L’avviso di conclusione indagini parla di “delitto di favoreggiamento aggravato e continuato, di cui agli artt. 81, 378, 416 bis. 1 c.p.”. In buona sostanza, in base a quanto sostiene la Direzione distrettuale antimafia di Bari, D’Alba avrebbe “con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso”, ripetutamente omesso “di denunciare alle Autorità di essere sottoposto ad estorsione e di versare, a tale titolo, somme di denaro contante periodiche in favore dell’associazione di stampo mafioso denominata Società Foggiana, consegnandole ad esponenti della sotto-articolazione dell’associazione denominata batteria Moretti-Pellegrino-Lanza, tra cui i pregiudicati Francesco Tizzano e Ernesto Gatta, entrambi condannati, con sentenza passata in giudicato, per il delitto di associazione di stampo mafioso nell’ambito del procedimento penale Decima Azione (nr. 5557/17 DDA)”.
Il fatto è “aggravato ai sensi dell’art. 416 bis. 1 c.p., perché commesso al fine di agevolare l’associazione di stampo mafioso denominata Società Foggiana, la cui esistenza e operatività in Foggia costituisce fatto notorio attestato da plurime e concordanti sentenze passate in giudicato”.
Questo in virtù della “appartenenza di Tizzano e Gatta alla batteria Moretti-Pellegrino-Lanza – si legge ancora -, sotto-articolazione giudizialmente riconosciuta della Società Foggiana, alla pratica estorsiva quale modalità operativa del programma associativo; all’afflusso dei proventi illeciti nella cassa comune del sodalizio, per il sostentamento delle finalità associative. Fatto commesso in Foggia, da un’epoca prossima al mese di settembre 2017 sino al 16.4.2020”.
La vicenda di Tizzano e Gatta è ben nota agli inquirenti. I due “morettiani” vennero arrestati e poi condannati a 14 e 10 anni in via definitiva per le estorsioni alla Rsa “Il Sorriso” di Foggia di proprietà di Paolo Telesforo, un tempo socio di D’Alba nella gestione del “Don Uva”. Stando alle intercettazioni, i mafiosi avrebbero bussato a D’Alba non potendo arrivare a Telesforo. “Questa palla se la deve tenere D’Alba”, una delle frasi captate dagli investigatori dell’epoca.
La questione è finita anche nelle carte delle interdittive antimafia che hanno colpito la famiglia D’Alba. Oltre a “Tre Fiammelle”, attiva in diversi enti tra cui il Comune di Foggia dove si occupa di manutenzione del verde e quant’altro, lo stesso provvedimento ha raggiunto anche la “Lavit spa” del figlio Lorenzo D’Alba, colosso della lavanderia industriale in zona Asi.
Lo Stato, attraverso questa vicenda, lancia un chiaro segnale contro l’omertà. Chi non denuncia viene messo al pari dell’organizzazione mafiosa vista la grave accusa di favoreggiamento aggravata dalla mafiosità.
Non troppo tempo fa, una vicenda relativa a D’Alba fu citata proprio dal procuratore capo della Dda di Bari, Roberto Rossi davanti alla Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno delle mafie. “A Foggia – disse il magistrato – c’è un giornale, l’Attacco, che è finanziato da un imprenditore attiguo al mondo criminale che sta giocando una partita attraverso insulti vari e un’attività di dissuasione rispetto ai principi antimafia”.