Anche l’Inghilterra ha ora i suoi olivi. Merito di due tenaci e coraggiosi imprenditori, l’inglese David Hoyles, l’investitore, e il pugliese Pietro Leone, il quale, forte di una consolidata professionalità in materia di olivicoltura, ha prontamente accolto l’invito per portare avanti un progetto che è entrato di diritto nella storia. Già, perché mai gli olivi sono stati coltivati in un areale così estremo. La messa a dimora di ben 20 mila piante di olivo nel Regno Unito è ormai qualcosa che si è compiuto e ora, tempo due anni, si attende la produzione delle prime olive da cui ricavarci l’olio made in England.
Perfettamente consapevoli dei rischi, in termini climatici, quanto, nel medesimo tempo, delle opportunità, non resta ora che seguire passo dopo passo l’evoluzione e la risposta di queste piante.
L’azienda agricola di David Hoyles copre una superficie di oltre 700 ettari, 12 dei quali sono stati destinati alla coltivazione dell’olivo. La piantumazione è avvenuta a Spalding, nella contea di Lincolnshire, tra il 29 aprile e il 2 maggio 2024. Il merito di Pietro Leone, con Oleificio Cericola, che non è solo un frantoio che frange olive per estrarre olio, ma un’entità ben più vasta che racchiude molti altri mondi paralleli, tra i quali l’attività di consegnare oliveti ad alta densità “chiavi in mano”, è di fornire anche una assistenza continua. L’obiettivo cui da tempo anelava David Hoyles è stato reso possibile proprio per il prezioso apporto di conoscenze e tecniche all’avanguardia da parte dell’imprenditore pugliese Pietro Leone, autore anch’egli di una svolta epocale nella sua Borgo Incoronata, in provincia di Foggia, dove tutti lo davano per matto incorreggibile, nel piantare olivi in una terra che da sempre ha accolto il frumento e che molti ritenevano inadatta alla coltivazione degli olivi. Eppure, è accaduto.Ottenere il giusto riconoscimento economico con l’olivo oggi si può, ma solo attraverso un nuovo modo di concepire l’olivicoltura, attraverso impianti ad alta densità “Il superintensivo – sostiene senza tanti giri di parole Pietro Leone – ci permette di rendere più efficiente la coltivazione, razionalizzando tutte le operazioni e abbattendo i costi produttivi”. Innovare significa apportare qualcosa di nuovo. Il fatto che dall’Inghilterra ci si stia muovendo in tal senso ci fa capire quanto sia importante immaginare una svolta anche per l’Italia, affiancando agli oliveti anche i nuovi impianti ad alta densità.
David Hoyles ha trovato in Leone, la figura giusta per sperimentare e rischiare come solo gli imprenditori illuminati sanno fare, inseguendo un sogno, accettando le sfide.
L’inaugurazione dell’oliveto di Spalding – il The English Olive Co. – segna un momento storico senza precedenti. L’apporto di Pietro Leone e dei suoi figli Veronica, Michele e Luigi, insieme alle competenze tecnico-gestionali di Matteo Pazienza, responsabile agronomico della cooperativa OlMaS, acronimo di Olivicoltura e Mandorlicoltura Superintensiva, e di Gianfranco Caserta, stretto collaboratore dei Leone, è stato fondamentale.
“Una farm a pieno titolo, quella di Hoyles: efficiente, dinamica, aperta alla progettualità e alle sfide. Sfide – ha evidenziato l’oleologo Luigi Caricato, direttore del magazine Olio Officina – che consistono anche nel tenere a bada un territorio che ha bisogno di costanti attenzioni: Spalding, come tutte le località dei dintorni, sono terre che gli olandesi strapparono al mare per renderle coltivabili. A osservarla oggi la campagna inglese è spettacolare”.
“La Gran Bretagna – sostiene David Hoyels – con il cambiamento climatico in corso di certo si avvantaggerà, per via di un periodo vegetativo più lungo. La presenza di tanta luce è una benedizione per le piante. Gli inverni sono più brevi e clementi, le primavere si presentano in largo anticipo rispetto al passato. In queste terre oggi dimorano gli oltre 20 mila olivi. Siamo molto soddisfatti. Non comunichiamo per ora il nome delle varietà selezionate insieme con Pietro Leone, perché vogliamo mantenere per ora il massimo riserbo, almeno fino a quando non ci sarà una produzione di olive consistente”. “Per ora – incalza Pietro Leone – possiamo definirlo a tutti gli effetti un oliveto sperimentale. L’intenzione iniziale di Hoyles era di piantare addirittura 50 ettari, ma su mia indicazione, dettata da prudenza, abbiamo optato per una superficie inferiore, così da avere un maggior controllo in questa fase esplorativa e riducendo nel contempo i rischi. Così, dopo aver verificato quali cultivar si adattino meglio all’ambiente, risultando più soddisfacenti ed efficaci, l’idea di progettare altri oliveti può diventare sempre più concreta e facilmente gestibile alla luce dei riscontri in campo”.
Ora si attendono solo gli esiti, la prima produzione di olive per ricavarci l’olio è prevista fra due anni, ma già Hoyles pianifica una struttura che accolga quanto necessario per allestire frantoio, deposito e locale confezionamento. Per ora tutto procede bene, le piante reagiscono adattandosi al nuovo ambiente. L’olivo, d’altra parte, è un albero che si adatta a ogni situazione e contesto.
Tutti credono in questo progetto. Ed è ottimista anche l’oleologo Luigi Caricato, il quale sostiene che “le cultivar di olivo messe a dimora a Spalding, sollecitate da un habitat differente da quello originario, cambieranno ora aspetto e genetica, provocando un cambiamento ereditario che sarà trasmesso alle generazioni successive. Non possiamo pensare che le piante siano ignare di ciò che le circonda, sono anzi estremamente consapevoli del mondo intorno a loro e si adattano di conseguenza.
L’ambiente conduce inevitabilmente allo sviluppo di caratteristiche adattive, poi, certo, c’è sempre l’imprevedibilità del clima che quando si impone con forza non risparmia mai nessuno e in qualsiasi luogo”.
Ben vengano dunque gli olivi in Inghilterra. Ciò che ormai è assodato è che le 20 mila e passa piante di olivo che David Hoyles ha introdotto nella sua fattoria a Spalding, con il supporto tecnico di Pietro Leone e del suo gruppo di Oleificio Cericola, entrano di diritto nella storia. Comunque vada, è storia.