Lazzaro D’Auria, simbolo dell’antiracket foggiana, esponente dell’associazione “Luciani”, avrebbe chiesto aiuto ai clan Moretti e Sinesi-Francavilla per liberare i suoi terreni a Borgo Incoronata da alcuni agricoltori che continuavano ad occuparli. Lo ha detto il collaboratore di giustizia, Giuseppe Francavilla detto “Pino Capellone” durante il processo al 45enne di Torremaggiore, Giovanni Putignano, vicino ai Moretti, accusato di tentata estorsione ai danni dell’imprenditore agricolo. D’Auria e Antiracket sono costituiti parte civile.
Stando al pentito, i contadini sarebbero stati cacciati attraverso mirate azioni intimidatorie organizzate da Francavilla stesso. Secondo l’accusa, i clan chiesero un pizzo di 200mila euro alla vittima oppure la rinuncia all’acquisto di terreni comunali. Per questa vicenda sono già stati condannati il boss Rocco Moretti alias “il porco” (4 anni e 8 mesi) e il suo alleato di San Severo, Giuseppe La Piccirella detto “il professore” (3 anni e 6 mesi). Putignano, invece, è ancora sotto processo.
In video collegamento, Francavilla ha ricordato di aver incontrato D’Auria in un locale di via Telesforo: “Era il 2016. C’eravamo io, Rocco Moretti, la figlia, Franco Tizzano e quello che si è impiccato ad Avellino”, si tratta del morettiano Domenico Valentini, suicida in carcere. “L’incontro ci fu perché D’Auria prese dei terreni all’asta dietro Borgo Incoronata sui quali c’erano persone che lavoravano da tanti anni, usurpavano il terreno; anche se non era di proprietà, loro lo coltivavano e non volevano uscire anche se D’Auria aveva acquistato queste terre. Quindi D’Auria interpellò noi per far sì che queste persone lasciassero i terreni, e lui entrasse nella sua proprietà a fare quello che doveva fare. Chiamarono anche me a quell’incontro perché in quel momento chi decideva sulle estorsioni a Foggia eravamo io e Rocco Moretti”.
All’epoca, ha ricordato il “Capellone”, scorreva la pace tra i clan della città che spesso e volentieri fanno affari insieme per spartirsi equamente i proventi delle attività illecite. “Facemmo un accordo di 200mila euro e un po’ di terreni che dovevamo coltivare noi, una decina di ettari: la parte per il mio gruppo era 100mila euro”. Ma il pentito ha anche aggiunto che non si arrivò mai ad una fase esecutiva: “Ma questa cosa poi non è stata più seguita da me, sono iniziati un po’ di casini” (scoppiò una nuova guerra tra clan per altre vicende).
Poi sugli attentati agli agricoltori: “Non ricordo se vennero sparati vicino a un container. Non partecipai direttamente, ma a commettere questi attentati furono soggetti mandati da me e appartenenti alla mia batteria”. Quando il presidente ha chiesto perché D’Auria si sarebbe rivolto ai clan, Francavilla ha risposto: “Eravamo persone che potevano sistemargli la situazione”.
Contattato da l’Immediato, D’Auria ha replicato smentendo con un secco “non è vero” di aver chiesto aiuto ai clan. E ha spiegato: “Francavilla venne in via Telesforo ma non lo riconobbi. C’erano Valentini, Moretti, la figlia ed altre persone. Francavilla me lo presentò Moretti. Ci furono anche incontri precedenti al bar o a casa di Rodolfo Bruno (cassiere dei clan ucciso nel 2018, ndr). Agli incontri ho più volte ribadito che non volevo pagare. La prima volta vennero gli scagnozzi presso la mia azienda, Valentini e altri. Volevano il denaro. Se ho chiesto a Valentini di liberare questi terreni? Non è vero. Questo è solo un tentativo di sporcare il mio nome. I terreni furono liberati grazie alle forze dell’ordine e alle squadre antisommossa. Se fossi stato d’accordo con i clan perché mi avrebbero incendiato i terreni e distrutto i miei averi?”.