Prosegue a Foggia il processo “Omnia Nostra” al clan Lombardi-Scirpoli-Raduano. Ieri il controesame di Antonio Quitadamo detto “Baffino”, 48enne di Mattinata, principale pentito della mafia garganica. Dopo le importanti rivelazioni della scorsa udienza durante l’esame dei pm della Dda, stavolta il collaboratore di giustizia è stato incalzato dal pool difensivo.
Quitadamo, che nella scorsa udienza affermò di aver commesso due omicidi e tre lupare bianche, si è soffermato sul caso di Francesco Libergolis che il clan chiamava “Faccia di pecora”. L’uomo, imparentato con i noti “montanari”, rivali del gruppo di “Baffino”, scomparì nel 2011. All’epoca c’era la convinzione che Libergolis avesse attentato alla vita di Quitadamo e per questo sarebbe stato vittima di lupara bianca. Ma a distanza di dodici anni dai fatti, il collaboratore di giustizia ha rivelato che “Faccia di pecora” era del tutto estraneo e sarebbe morto da innocente.
Sulla sparizione dell’uomo, si espresse anche il pentito Andrea Quitadamo, fratello minore di Antonio: “Poi l’omicidio di… nel 2011 se…, nel 2011, la lupara bianca di Francesco Libergolis. È il nipote di Ciccillo, la Faccia di Pecora lo chiamavamo noi, di Mattinata, aveva una campagna vicino alla nostra a Tagliata. Eravamo sette o otto. È stato prima sequestrato e interrogato e poi è stato ammazzato. È stato ammazzato con le pietre. Qualche pezzo di legno, qualche calcio di fucile. La ragione che qualche mese prima avevano sparato a mio fratello e Lombardi. L’abbiamo sotterrato”.
Ieri Antonio Quitadamo ha anche svelato di aver commesso una lupara bianca proprio con Matteo Lombardi, boss del clan recentemente condannato in via definitiva all’ergastolo per l’omicidio Silvestri. Non ha però specificato di quale lupara si tratti ma comunque vige il segreto istruttorio.
Intanto alcune famiglie garganiche vivono nell’angoscia da anni. Attendono la verità i parenti di Angelo Iaconeta, scomparso da Mattinata nel 2003, di Francesco Armiento, svanito nel nulla nel 2016 sempre a Mattinata e di altri ancora.
Durante il controesame è emerso anche il rancore di Quitadamo nei confronti di un suo storico alleato, il 41enne mattinatese Francesco Scirpoli detto “Il lungo”, boss in ascesa del clan. Quitadamo si sarebbe sentito escluso dalla divisione dei proventi della rapina ad un portavalori a Bollate in Lombardia e avrebbe meditato di vendicarsi. Il colpo fruttò circa 4 milioni di euro in gioielli Bulgari. Così “Baffino” durante l’esame dei pm: “Quando io mi dovevo consegnare c’avevamo nascosto tutto l’oro della rapina io e Scirpoli, poi l’ho spostato e l’ho messo da un’altra parte. Poi ho detto a Scirpoli: ‘Che dobbiamo fare con questo oro?’. Dice: ‘No, quando uscite decidete’. Mi sono consegnato, dopo tre giorni mi hanno mandato a chiedere l’oro, dice che lo volevano acquistare, stavano dei calabresi che lo volevano acquistare e ce l’ho consegnato l’oro. Dissi a Scirpoli e Gentile dove stava nascosto e se lo sono andati a prendere. Era la maggior parte tutto Bulgari. Mi è rimasto un anello di 3-4mila euro che poi ho consegnato alla Dda”.
“Con Scirpoli poi ci siamo incontrati il 2020 a Milano Opera, che c’avevamo il processo della rapina e mi ha promesso che era tutto a posto, i soldi miei, ha detto. Scirpoli disse, perché il primo di luglio facemmo il processo e stava uscendo la sentenza, ‘Se usciamo oggi andiamo a prendere direttamente i soldi’, ‘Dove stanno i soldi?’, ‘Stanno qua a Milano, ce l’ha un calabrese, Raffaele’, questo Greco Raffaele (non risulta indagato per queste vicende, ndr) c’aveva un bar o un ristorante vicino al Duomo di Milano, ha detto: ‘Andiamo a prendere i soldi’, però non ho mai visto niente. Greco Raffaele è quello che l’ha acquistato l’oro della rapina di Bollate, però io non lo conoscevo. Io conoscevo a Scirpoli e Gentile perciò ce l’ho consegnato a loro. Loro hanno preso i soldi, i soldi miei dice non li hanno presi, la quota mia ce l’aveva questo Greco Raffaele, non so come si trova la quota mia a questo Greco Raffaele, non l’ho mai capita, però ormai è passato”.
I contatti calabresi di Scirpoli confermano il potere del “lungo” e la sua fitta rete di contatti, probabilmente anche nelle forze dell’ordine. La lunga ordinanza di “Omnia Nostra” raccontò anche del rapporto tra il mattinatese e un tale “Matteo”, poliziotto garganico che avrebbe fornito al clan soffiate su controlli, perquisizioni e arresti.
Il processo e gli imputati
Per “Omnia Nostra” c’è già stata una raffica di condanne con il rito abbreviato a Bari. Invece a Foggia sono sotto processo coloro che scelsero il rito ordinario andando a dibattimento. Si tratta di 26 persone: Michele Bisceglia, Pasquale Bitondi, Luigi Bottalico detto “Pazziarill”, Alessandro Coccia, Leonardo D’Ercole, Michele D’Ercole, Emanuele Finaldi alias “Martufello”,Vittorio Gentile, Sebastiano Gibilisco, Raffaele Greco, Hechmi Hdiouech, Giuseppe Impagnatiello detto “Spaccatidd”, Pietro La Torre, Pasquale Lebiu, Catello Lista detto “Lino”, Matteo Lombardi “A’ Carpnese”, Michele Lombardi “U’ Cumparill”, Umberto Mucciante, Massimo Perdonò “Massimino”, Bruno Renzulli, Mario Scarabino detto “lo zio”, Francesco Scirpoli, Salvatore Talarico e Gaetano Vessio.
Procedimento a parte per Angelo Bonsanto e Gianluigi Troiano (latitante), accusati di aver preso parte all’omicidio di Omar Trotta in una bruschetteria di Vieste.