Il sostegno del fondo di integrazione salariale come risposta all’aumento abnorme dei costi di gestione che sta mettendo in crisi il settore e la minore capacità erogativa a causa delle misure di sicurezza covid ed anti contagio seppur l’ aumento della domanda di salute. È il provvedimento adottato su circa 100 dipendenti del Don Uva, tra le sedi di Foggia e Bisceglie. Un “piccolo sacrificio temporaneo”, pari al 50 per cento del monte ore, con una riduzione del 10% dello stipendio, su una parte del personale (addetti alle funzioni amministrative) non direttamente impiegata nell’assistenza sanitaria.
Si tratterà di lavorare, fino a settembre, soltanto lunedì, martedì e mercoledì. “È una misura provvisoria, condivisa con i sindacati, necessaria per impattare la crisi del settore, liberare investimenti finalizzati al miglioramento della qualità, per essere maggiormente attrattivi, e per contenere al contempo l’aumento vertiginoso – del 500 per cento – degli approvvigionamenti energetici”, commenta il manager Luca Vigilante (in foto).
“Giusto per fare fare un esempio – prosegue , nel primo trimestre 2022 abbiamo corrisposto, prendendoli direttamente dal conto, 900mila euro in più rispetto allo stesso periodo del 2021 tra gas ed energia”. Dunque, l’obiettivo di quella che è stata contrassegnata da qualcuno come “cassa integrazione”, sarebbe quello di contenere l’impatto negativo scaturito dallo scenario geopolitico e, nelle more, migliorare l’assistenza diretta con infermieri, fisioterapisti e operatori socio sanitari.
“La pandemia è la causa principale di questo scenario – risponde Vigilante a l’Immediato -, se non avessimo avuto risorse accantonate per l’oculata gestione degli anni scorsi, ora ci ritroveremmo a prendere decisioni drastiche e strutturali. Se si accende un focolaio in un reparto, infatti, bisogna bloccare l’accesso e isolare i posti letto per le norme di sicurezza. Questo chiaramente blocca le attività ordinarie, con evidenti ripercussioni sulla produttività, e attiva una serie di problemi a catena che causano sofferenze economiche”.
“La decisione migliore in questo momento ci sembra quella di chiedere uno sforzo ai non addetti all’assistenza, proprio dove abbiamo un surplus di personale dal 2012 – continua -, questa misura va a consolidare l’azienda e, ribadisco, scongiura provvedimenti più pesanti. Il secondo step di questa prospettica gestione sarà quello di puntare ad una formazione più qualificata, soprattutto nell’ambito degli applicativi digitali, perché chiaramente non possiamo permetterci di essere carenti di know how adeguato in questo ambito”. C’è un aneddoto che dà il senso della difficoltà di coniugare alcune posizioni con la sfida della transizione digitale sostenuta dal Pnrr: “Non abbiamo rendicontato alcune prestazioni per cenitinaia di migliaia di euro a causa e per l’atteggiamento di un dipendente, avanti con l’età, che si rifiuta per carenza di competenze l’ utilizzo del programma digitale. Per anni ha utilizzato i fogli di carta e ora gli risulta difficile mutare approccio, al punto che ha chiesto di essere trasferito ad un’altra funzione…”.
Al momento non è previsto alcun provvedimento estremo, come i licenziamenti. Molte imprese in questa fase hanno grossi problemi di prospettiva e stanno agendo diversamente: “Valutiamo ogni scenario, così come tutte le altre imprese italiane costrette ad operare in un contesto instabile e a sostenere un aumento inusitato dei costi”, chiosa il giovane manager. Come se non bastasse, a pesare c’è anche il gravame dell'”accerchiamento” dei contenziosi che arrivano da ogni dove. “Ogni giorno ci troviamo con Procure che ci chiedono cartelle cliniche di persone che si sono ammalate di Covid – racconta -, queste si rivolgono a legali che ci citano chiedendo risarcimenti. A queste si affiancano le cause societarie e diversi problemi interni che abbiamo provveduto a segnalare alle autorità competenti. Dobbiamo rispondere a tutto questo mentre proviamo ad alzare l’asticella della qualità dei servizi per i cittadini”, conclude.
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