” 27 anni sono tanti, troppi. Dentro di me è rimasto il mio papà, sebbene come donna io non mi senta più l’ingenua ragazza che trovò suo padre ucciso in una pozza di sangue. La memoria di quegli anni di sottovalutazione di quanto accadeva, la memoria di questo nostro concittadino che amava la sua terra, dopo ventisette anni non può essere retorico esercizio emotivo. Non è più possibile. Deve smuovere le coscienze nel profondo, altrimenti queste persone saranno perse davvero”.
Si è aperta con questa consapevolezza di Daniela Marcone, rappresentante di Libera la lunga giornata del 31 marzo in memoria di Francesco Marcone, assassinato 27 anni a Foggia, dalla mafia.
Una commemorazione civile quella vissuta in Biblioteca Magna Capitana a Foggia, contro la corruzione, prima con l’inaugurazione della mostra con i pannelli della graphic novel dedicata alla vittima di mafia, e poi nel pomeriggio con un ricco convegno a cui hanno partecipato insieme a Marcone, Ernesto Maria Ruffini dirigente dell’Agenzia delle entrate, il politologo Alberto Vannucci e il pm Antonio Laronga.
Il docente Vannucci, teorico della comunità monitorante, ha spiegato l’alta variabilità, l’alta varianza di fenomeni corruttivi in Italia. Ma è stato Laronga a scuotere l’uditorio ripercorrendo le tappe delle infiltrazioni mafiose nella pubblica amministrazione e la “voragine etica” dello scioglimento del Consiglio comunale di Foggia. “Mi sembra che i foggiani non abbiano compreso cosa è accaduto ad agosto con lo scioglimento del Comune”, ha detto il pm che ha invitato tutti a leggere l’ultima sentenza sulla incandidabilità dell’ex sindaco Franco Landella e di alcuni protagonisti del centrodestra. “Erano classe dirigente, eletti per anni in consiglio comunale. La comunità votandoli non ha esercitato il controllo sul loro operato”.
Il professore ha invece ricordato Mani Pulite, una realtà che vedeva gli attori mafiosi ai margini. Il sistema di corruzione organizzata con Mani Pulite non aveva bisogno di attori criminali.
Ha rammentato il cosiddetto sistema del tavolino della Sicilia dove si spartivano tutti gli appalti senza eccezione alcuna.
Ha osservato Vannucci: “Il pedaggio da pagare a Cosa Nostra era inferiore rispetto a quello del Nord. ‘In Sicilia c’è più disciplina’, diceva un imprenditore. Quando si incontrano entrambi politica e mafia si rafforzano, la mafia e lo Stato coesistono in un solo territorio: o si fanno la guerra o si mettono d’accordo e la corruzione è uno strumento molto forte per mettersi d’accordo, creando un strategia di collisione degli apparati pubblici. L’impresa mafiosa non va ad intimidire nessuno, ma si siede a tavoli preesistenti a cui altri non si sono seduti. L’attrazione fatale nei confronti di appalti produce effetti moltiplicativi di corruzione”.