
“L’indagata Di Donna è la persona di maggiore fiducia di Franco Landella; è colei che viene utilizzata per i contatti più delicati e ad alto rischio; è colei alla quale è affidato il ruolo di distribuzione del denaro; è la longa manus del Landella”. Lo riportano i sostituti procuratori Roberta Bray ed Enrico Infante nella richiesta cautelare formulata per la moglie dell’ex sindaco di Foggia. Ed emerge anche un episodio avvenuto a casa Landella il 1 maggio scorso durante la perquisizione degli investigatori. Quel giorno vennero sequestrati i cellulari della coppia ma anche soldi che Di Donna provò a nascondere sotto il naso degli agenti. “Ella – scrivono i magistrati – ha dimostrato elevata prontezza, allorquando, all’atto della perquisizione eseguita dalla PG il 01.05.2021, si è da subito prodigata a nascondere del denaro contante che aveva in casa, disvelando un’attitudine all’occultamento di elementi potenzialmente rilevanti che costituisce un serio indice del rischio prospettato. Si osserva inoltre che è proprio la Di Donna l’autrice del linguaggio criptico adottato per veicolare ad alcuni imprenditori la necessità di erogare tangenti”.
Secondo i magistrati, che spingevano per la restrizione in carcere (Di Donna è stata interdetta dai pubblici uffici) “solo recidendo in maniera recisa il legame tra i due (i coniugi Landella, ndr) sarà possibile elidere il pericolo di inquinamento probatorio conseguente alla possibilità di proseguire la collaborazione tra i suddetti.
È evidente che tale capacità perturbante dell’attitudine ricostruttiva dei fatti da parte dell’AG persisterà finché non saranno totalmente inibiti i rapporti, anche in via mediata, tra la Di Donna e gli altri indagati, nonché tra loro ed eventuali soggetti terzi di cui avvalersi a tal fine. Soltanto se posto in condizione di totale isolamento e di impermeabilità con gli altri, il che richiede di allontanarlo dall’usuale rete di relazioni in cui è inserito, tale pericolo di inquinamento probatorio potrà ritenersi scongiurato. Dunque, solo la custodia cautelare in carcere potrà garantire l’esigenza in esame. Invero, la collocazione del predetto in regime cautelare domiciliare non consentirebbe di neutralizzare il pericolo di inquinamento probatorio, in quanto gli arresti domiciliari permetterebbero comunque all’indagato di agire, per il tramite dei suoi familiari o conviventi, al fine di ostacolare il compiuto accertamento dei fatti, istituendo contatti e relazioni con gli altri indagati e con le persone informate sui fatti”.
Clima omertoso
Nella richiesta cautelare spunta anche un passaggio su chi sapeva ma non ha parlato. Su chi aveva raccolto confidenze, salvo poi tacere. Se ne parla nel capitolo dedicato a Landella sul quale, secondo i pm, sussisteva “un concreto e attuale pericolo di inquinamento probatorio. Esso si desume dal metodo operativo consolidato adottato dal sindaco e dai suoi effetti”.
Tra questi, “la circostanza per cui gli imprenditori, i procacciatori di affari, gli agenti delle società coinvolte, i confidenti delle vittime, queste ultime e in generale chiunque sia venuto a conoscenza degli episodi delittuosi di cui al presente procedimento si è guardato bene dal farne menzione alla polizia giudiziaria e alla autorità giudiziaria sino a che non si è proceduto ad una anche penetrante attività investigativa (si pensi alla perquisizione a casa Azzariti, alle confidenze ricevute da Cavaliere, Longo, Laccetti, Miccoli, D’Emilio, Pinotti…). Tanto è univoco indice di un clima omertoso che i comportamenti predetti hanno ingenerato nella compagine sociale a conoscenza delle interrelazioni tra politica ed imprenditoria nel capoluogo dauno. Anche i soggetti estranei al carattere delittuoso di tali affari, e tra questi addirittura le vittime, hanno sempre taciuto“.