Armato fino ai denti e “scortato” dai carabinieri. È quanto emerge dalle carte dell’arresto bis dell’ex giudice Giuseppe De Benedictis, in cella per corruzione ma ora anche per detenzione di un arsenale. L’ordinanza firmata dalla gip Giulia Proto, 45 pagine piene di intercettazioni, ha stilato l’elenco completo delle armi di De Benedictis: si tratta di 193 pezzi tra mitragliatori, pistole e cartucce. In una conversazione, è lo stesso ex giudice a descrivere l’arsenale parlando di “5 mitragliatori a nastro, 3 mitragliatrici, 3 fucili, 53 pistole mitragliatrici e 82 pistole”. Per questa vicenda è finito in carcere anche Antonio Serafino, 43enne caporal maggior dell’Esercito, intermediario nel traffico di armi.
“I dialoghi intercettati – riporta l’ordinanza – avevano ad oggetto uno spasmodico interesse, da parte di entrambi, per armi particolari, del tipo da guerra e si intuiva che il militare era il tramite attraverso il quale il giudice riusciva ad avere materiale bellico, o comunque in dotazione alle forze dell’ordine, non legalmente detenibile”.
L’ossessione di De Benedictis per le armi emerge a Capodanno, quando utilizzò un lanciarazzi della Marina oppure quando, parlando con Serafino, diceva: “Quando avrò l’M12 tra le mani… sarà ancora più apposto!” “In brevissimo tempo si aveva conferma di quanto già emerso fino a quel momento ossia che il De Benedictis detenesse ‘una montagna’ (come da lui stesso asserito) di armi, in parte ricevute grazie alla mediazione del caporal maggior dell’Esercito Italiano Antonio Serafino, occultate in un luogo indicato dai due principali interlocutori – Serafino e De Benedictis – come ‘il pozzo’”. Implicato nella vicenda c’è anche Antonio Tannoia, l’uomo a cui è riconducibile la masseria di Andria dove le armi venivano custodite, nascoste sotto una botola: il pozzo, appunto.
Parlando di un’arma “senza numeri” (ossia con matricola abrasa) che l’ex giudice aveva dato a Tannoia, diceva: “Lui la tiene come deposito, no come padrone! Perché io non la posso tenere in casa per ovvi motivi”.
Scortato dai carabinieri
Ma in questa storia spuntano anche insospettabili rappresentanti delle forze dell’ordine. “Quando (De Benedictis, ndr) ha dovuto portare le armi nel luogo dove poi sono state rinvenute (la villa di Antonio Tannoia) – si legge nell’ordinanza cautelare – si è fatto ‘scortare’ da cinque carabinieri che hanno dovuto fare da staffetta perché ‘se ti fermano con un carico del genere è meglio che ti spari perché si rischiano 20 anni (di reclusione)’, commento tecnicamente ineccepibile in quanto proveniente da un gip”.
“Mi è successa una catastrofe”
Eloquente la conversazione telefonica tra De Benedictis e Tannoia risalente al 9 aprile scorso, quando ormai gli inquirenti erano alle calcagna del giudice. “Sono Pinuccio. Vedi che stamattina mi è successa una catastrofe. Tenevo nel portafoglio seicento euro per pagare gli operai, più tenevo altre 5mila euro per fatti miei… e dice che me li ha dati un avvocato. Sono venuti a fare la perquisizione… che dice che dalle intercettazioni dice che io lo favorivo a que… insomma, in parole povere… adesso mi hanno sequestrato a… a casa tutti i soldi che tenevo. Stanno di nuovo a fare il controllo delle armi, come prima… e a me mi hanno detto che stanno aspettando i verbali di sequestro, ma non è vero! Questi stanno ad aspettare la misura cautelare da Lecce… Antò, per un po’ me ne devo andare. Ho fatto già domanda di dimissioni dalla magistratura, perché…. o colpevole, o innocente, ho capito che io me ne devo andare! Farò l’avvocato… L’unica cosa che ti volevo dire, rimani mio amico. Basta! Domani, adesso che su tutti i giornali leggerai ‘arrestato il giudice De Benedictis per corruzione…’, pensa che è stata tutta una manovra… solo questo ti volevo dire”.
Il timore di essere “infamato”
Stando alle carte, Tannoia avrebbe occultato le armi per tre anni “nel pozzo”, per riconoscenza nei confronti del giudice (Serafino: “Lo hai fatto uscire da galera”).
Eppure De Benedictis temeva “di essere tradito”. Secondo l’ordinanza temeva addirittura che Tannoia potesse avvisare le forze dell’ordine (“Ma non è che me li fa trovare lungo il viaggio?” e ancora “un infame come quello te li fa trovare lungo la strada”); “ma ciò che emerge pacificamente – riportano ancora le carte dell’inchiesta – è che il problema è solo suo, non del Serafino (De Benedictis: ‘Chi sta sotto il coltello, tu o io?’) tant’è che quest’ultimo può allontanarsi dal Tannoia senza subire ripercussioni mentre il De Benedictis è legato ‘Mani, piedi e bocca’. E, nell’arsenale, vi è qualcosa che non deve venire fuori, perché ‘altrimenti risalgono a chi non devono…'”.
“Arsenale degno di una cosca mafiosa”
Nelle conclusioni, il giudice riferisce che Serafino e De Benedictis “si sono rivelati autentici trafficanti in armi da guerra”. Si parla di un “arsenale degno di una cosca mafiosa, all’interno del quale sono state reperite armi da guerra oltre che armi comuni, mine anticarro e finanche ‘silenziatori’, sì da rendere le armi ancora più efficaci ed insidiose”. Per il giudice c’è anche la “possibile detenzione di armi per conto di soggetti terzi appartenenti a persone orbitanti nell’ambito della criminalità organizzata locale (‘risalgono a chi non devono’)”.