La storia della mafia foggiana ripercorsa dal procuratore della DDA di Bari, Giuseppe Volpe, da anni in prima linea nella lotta ai clan. Il magistrato è intervenuto stamattina a Foggia ad un incontro sulla legalità promosso dall’università alla presenza del procuratore nazionale, Federico Cafiero De Raho.
Dal processo “Panunzio” a “Day Before” passando per le operazioni “Double Edge”, “Cartagine” e “Iscaro-Saburo”; di queste ultime due Volpe si occupò in prima persona, scoperchiando una volta per tutte l’esistenza della mafia cerignolana nel primo caso e garganica nel secondo.
“Fu un grande sconcerto per me verificare la totale mancanza di conoscenza e di interesse dello Stato centrale e dell’opinione pubblica nazionale rispetto alla criminalità organizzata di questo territorio. Cartagine – ha ricordato – si chiuse con ben 15 ergastoli, il maxi processo a Cosa Nostra, che tutti conoscono, solo quattro in più. Qualcuno avrebbe dovuto pur interessarsi. Ma vi fu disinteresse totale. Un grave silenzio durato anni. Addirittura presidenti di Commissioni parlamentari antimafia ed esponenti di vertice delle forze di polizia mi interrogarono affinché riferissi loro della Sacra corona unita. Non avevano capito niente. Dal 1986 la Sacra corona unita non ci interessa più”.
Volpe ha osservato che la strage del Bacardi (1 maggio ’86 in un circolo di piazza Mercato a Foggia) segnò un passaggio cruciale “con l’eliminazione dei fratelli Laviano da parte della criminalità indigena foggiana. Uno rimase ucciso nella strage, l’altro vittima di lupara bianca successivamente”. Fu allora che la mafia del capoluogo dauno rispedì al mittente per sempre ogni proposito della “Scu” di penetrare nel territorio di Capitanata.
E poi la strage di San Marco, “un episodio che finalmente ha attirato l’attenzione dei media – ha evidenziato il procuratore della DDA -. Una parabola, quella tra il Bacardi e San Marco in Lamis, nel corso della quale le mafie di Foggia e provincia hanno imperversato. Nel 2017 la Dia scrisse di 44 gruppi mafiosi: alcuni di essi sono batterie della Società Foggiana. Gruppi che funzionano come elastico, dilatandosi e stringendosi”.
Poi il riferimento all’operazione “Rodolfo” di qualche anno fa a Foggia. Le estorsioni “in comunità” ad un imprenditore agricolo della città, vittima dei clan Sinesi-Francavilla e Moretti-Pellegrino-Lanza, spesso rivali tra loro ma anche in grado mettersi in affari. “Le batterie si associarono creando un ‘consorzio’ che presentava ‘regolari’ fatture e la vittima gridava al mondo la gioia di pagare il pizzo ‘legalmente'”. Per “Rodolfo” sono giunte pesanti condanne a fine 2019.
“A Foggia e provincia – ha concluso il magistrato – le batterie dalla criminalità sono pervasive, si infiltrano nel mondo economico e politico come dimostrano i recenti scioglimenti a Manfredonia e Cerignola e le numerose interdittive antimafia che ci vengono trasmesse per eventuali approfondimenti di carattere penale. Il tutto coronato dall’attività indefessa delle forze di polizia”.