La Direzione Distrettuale Antimafia ha pubblicato in queste ore la relazione semestrale, l’ultima è quella relativa al secondo semestre del 2018. Lunga analisi sulla provincia di Foggia. Dai clan del capoluogo alla guerra di mafia sul Gargano, senza dimenticare Cerignola e Alto Tavoliere.
“In linea generale – scrivono i magistrati della DIA -, l’articolato quadro criminale della provincia foggiana è stato, nel semestre, fortemente condizionato dall’intensificazione dell’attività di contrasto posta in essere dalle Forze di polizia all’indomani dei gravi episodi di sangue avvenuti nel 2017 (strage di San Marco in Lamis del 9 agosto 2017, i cui esecutori materiali sono stati tratti in arresto il 16 ottobre 2018) e nella prima parte del 2018, con il risultato che quasi tutti i clan sono rimasti privi dei loro vertici, perché tratti in arresto.
Ciononostante, l’analisi degli assetti interni conferma che, pur permanendo la suddivisione tra le tre distinte organizzazioni della società foggiana, mafia garganica e malavita cerignolana, continua la ricerca di sinergie al fine di superare le difficoltà contingenti, in particolare laddove gli equilibri non sono ancora definiti (come per la città di Vieste), ovvero risultano dissestati dagli interventi, preventivi e repressivi, delle Istituzioni. Elementi a sostegno di questa chiave di lettura si possono desumere, in primo luogo, dalla posizione di centralità assunta della mafia foggiana attraverso la progressiva espansione nei territori della provincia e la ricerca di convergenze finalizzate ad una gestione monopolistica delle attività illecite (in particolare, del traffico degli stupefacenti). I numerosi arresti e gli importanti sequestri di droga effettuati, nel periodo, in tutto il foggiano attestano, infatti, questo territorio come uno snodo fondamentale nel mercato della marijuana, sia che l’approvvigionamento avvenga dall’Albania, sia che avvenga dalle consistenti piantagioni locali. In entrambi i casi si assiste ad una sempre maggiore coinvolgimento ed integrazione dei gruppi albanesi sul territorio, assieme a soggetti del posto, nella coltivazione di marijuana.
Nella città di Foggia, le tre batterie della Società foggiana (Sinesi-Francavilla, Moretti-Pellegrino-Lanza e Trisciuoglio-Prencipe-Tolonese), pur se fortemente ridimensionate dalle attività investigative e giudiziarie, restano particolarmente attive nel traffico degli stupefacenti e nelle estorsioni, riuscendo a specializzarsi anche nel riciclaggio”.
I magistrati ricordano “l’importante operazione denominata ‘Decima Azione’ che ha messo in evidenza l’operatività ed alcune peculiarità fondamentali della società foggiana: a) la suddivisione in batterie, coagulate per gruppi familiari, tali da assicurare un forte collegamento tra i rispettivi membri; b) la determinazione degli equilibri attraverso la regola del più “forte”, ovvero l’eliminazione fisica degli avversari; c) la creazione di sistemi centralizzati di gestione degli illeciti proventi, per assicurare la ripartizione dei guadagni tra i sodali in libertà, destinatari dello stipendio, e di quelli arrestati, mediante l’assunzione delle spese di mantenimento e di assistenza legale; d) il controllo capillare delle attività economiche, mediante una attività estorsiva a tappeto…”.
A sovrintendere al “rapporto federativo” tra le tre batterie (sotto-articolazioni che restano dotate di autonomia decisionale) “avrebbe provveduto – scrivono dalla DIA – un nucleo direttivo composto dai boss dei gruppi Lanza, Sinesi e Moretti, attraverso figure di raccordo, selezionate nei rispettivi ranghi, per la conduzione in comune di affari particolarmente rilevanti (tra cui appunto la conduzione della cassa comune ed il controllo della cd. lista delle estorsioni, documento nel quale erano analiticamente registrate le persone sottoposte al racket).
In tale ambito, le indagini hanno ricostruito i magmatici e contraddittori rapporti tra le batterie Sinesi-Francavilla e Moretti-Pellegrino-Lanza, le quali, nonostante i contrasti mai sopiti, attraverso tali interlocutori, avrebbero gestito frizioni e criticità in nome di interessi comuni. Il provvedimento ha ricostruito anche il modulo organizzativo adottato all’interno delle cosche, basato su vincoli familiari, imposizione di regole interne, ricorso a rituali di affiliazione e ri- partizione dei ruoli secondo qualifiche gerarchiche (individuate attraverso un gergo tipicamente mafioso ispirato ai canoni strutturali ed operativi della ‘ndrangheta). L’inchiesta, infine, ha posto l’accento sulla ‘crescita professionale’ del tessuto mafioso foggiano, con riferimento all’evoluzione del fenomeno estorsivo dal modello tradizionale del racket fatto di minacce esplicite, ad una modalità d’azione più subdola, in cui l’intimidazione viene fatta percepire alla vittima attraverso l’appartenenza all’associazione (estorsione ambientale).
Proprio nell’ambito di tali rinnovate strategie potrebbe essere stato deciso l’omicidio, avvenuto il 15 novembre 2018, di un noto pluripregiudicato foggiano (Rodolfo Bruno) che, pur essendo uno degli ultimi soggetti deputati al ruolo di cassiere comune, per il suo passato costituiva un elemento potenzialmente destabilizzante rispetto alla più moderna politica di cogestione degli affari illeciti”.