È partito il procedimento penale a carico del 48enne Luigi Palena, l’uomo di Manfredonia arrestato ad ottobre dello scorso anno nell’ambito delle indagini sulla strage del 9 agosto 2017 a San Marco in Lamis. Su Palena pende un’accusa per armi. Con lui finì in manette il 38enne Giovanni Caterino (in foto), quest’ultimo accusato di aver preso parte all’agguato nel ruolo di basista. Quel giorno furono uccisi il boss Mario Luciano Romito, il cognato Matteo De Palma e i contadini Aurelio e Luigi Luciani.
Nel processo a carico di Palena hanno chiesto di costituirsi parte civile la Regione Puglia, la famiglia Luciani e il Comune di San Marco in Lamis ma i legali dell’imputato intendono opporsi strenuamente. Al momento le richieste non sono ancora state ammesse dal gip che dovrà valutare le eccezioni sollevate dal difensore di Palena. Prossima udienza prevista il 25 settembre 2019. Il 48enne è accusato soltanto di concorso con Caterino nel possesso di una pistola che avrebbe custodito per conto del coimputato. Nel frattempo Palena continua a usufruire di concessioni da parte del Comune di Manfredonia, ente a rischio scioglimento per mafia. All’uomo, infatti, sono riconducibili alcune attività commerciali cittadine tra le quali una nota paninoteca. Concessioni sulle quali dovranno esprimersi l’attuale commissario prefettizio Vittorio Piscitelli e il prefetto di Foggia, Raffaele Grassi.
Inizierà, invece, lunedì 15 luglio nel Tribunale di Foggia, dopo un primo rinvio, il processo con rito ordinario a carico di Giovanni Caterino. In tanti attendono di costituirsi parte civile, compresa la famiglia del boss Mario Luciano Romito. Caterino, stando all’accusa e per quanto si legge sull’ordinanza cautelare del gip di Bari, Marco Galesi, avrebbe pedinato il capomafia sia quel 9 agosto che nelle giornate precedenti, agendo per conto dei montanari del clan Li Bergolis-Miucci, storicamente rivali dei Romito, questi ultimi oggi indicati con la dicitura Lombardi-Ricucci-La Torre.
Caterino è accusato di concorso in quadruplice omicidio premeditato e aggravato dalla mafiosità per metodi usati e per aver agito per agevolare il gruppo criminale di Monte Sant’Angelo. Inoltre, per porto e detenzione illegale delle armi usate nell’agguato, ossia un fucile calibro 12, un mitra Kalashnikov e una pistola calibro 9×21 e per porto e detenzione illegale di ulteriori due pistole, sempre con l’aggravante della mafiosità.
I pubblici ministeri della Direzione Distrettuale Antimafia Luciana Silvestris, Ettore Cardinali e Giuseppe Gatti hanno chiesto e ottenuto dal gip Galesi il giudizio immediato per i due imputati, saltando quindi l’udienza preliminare. 21 le parti offese, tra le quali i parenti delle quattro vittime di quella mattanza.