L’ultimo rapporto del Forum Meridiano Sanità (Ambrosetti) boccia la sanità pugliese, piazzandola al quartultimo posto per l’indice dello stato di salute. Dietro la regione guidata da Michele Emiliano, solo Silicia, Calabria e Campania. Eppure, proprio oggi è passato in Consiglio regionale il provvedimento che aumenta lo stipendio ai manager delle aziende, scatenando una vera e propria battaglia tra i gruppi politici, a cominciare dal Movimento Cinque stelle e Forza Italia.
“La buona salute non è di casa in Puglia – ha affermato Domenico Damascelli di FI -. Contrariamente ai dati snocciolati ieri dal presidente-assessore Emiliano in Commissione Bilancio, la nostra regione è quartultima per qualità dei servizi sanitari offerti ai cittadini. Lo dice il 12esimo rapporto Meridiano Sanità, che fotografa la performance della sanità italiana rispetto ai Paesi Ue, e fa le pulci ai numeri delle Regioni. Con un indice di stato di salute di 3,9 su 10 per il 2017, la Puglia si piazza in fondo alla classifica. Una prestazione così negativa, che perfino un funambolo dei numeri come Emiliano farà fatica a smentire”. “Il presidente – osserva – ha tenuto a sottolineare proprio ieri che il Piano di Riordino sanitario non serve a tagliare le spese o a programmare assunzioni ma a mettere in sicurezza gli ospedali, a garantire livelli essenziali di assistenza (Lea) migliori. Ma dopo due anni e mezzo è evidente che il sistema sanitario pubblico della nostra regione non è per nulla migliorato, tant’è che viene bocciato senz’appello nel rapporto Meridiano Sanità, da cui risulta che i nostri Lea non riescono a soddisfare il bisogno di salute dei cittadini pugliesi. Secondo il dossier, le criticità maggiori riguardano. Non ci è dato conoscere l’impatto finanziario del Piano di Riordino targato Emiliano. E intanto, nonostante i tagli a reparti e servizi, la spesa sanitaria continua ad aumentare, il potenziamento della medicina territoriale resta inattuato, col rischio di perdere i relativi fondi europei, e gli stanziamenti per le nuove strutture, come l’Ospedale del Nord Barese, sembrano svanire nel nulla. Altro che buona salute”.
Ciononostante, è stato approvato oggi a maggioranza (contrari M5S e altri due consiglieri di minoranza) il disegno di legge riguardante le “Modifiche dell’art. 7 comma 2 della Legge regionale n. 1/2011”, prevedendo la deroga alla riduzione del 10% dei compensi nei confronti di Direttori generali, amministrativi e sanitari delle Aziende e degli Enti del servizio sanitario regionale.
Nel 2011 la Regione Puglia, esercitando l’opzione facoltativa, si era adeguata alla Legge di stabilizzazione finanziaria intervenuta in un preciso momento storico a calmierare gli emolumenti percepiti da figure apicali di Agenzie ed Enti del settore pubblico. A decorrere dal gennaio 2011, le indennità, i compensi e i gettoni corrisposti dalla Regione Puglia ai componenti di organi di indirizzo, direzione e controllo, consigli di amministrazione, organi collegiali ed ai titolari di incarichi istituzionali, subirono un taglio del 10% rispetto agli importi precedentemente percepiti, riduzione che si andò a sommare con la decurtazione del 20%, prevista dalla Legge n.133/2008, determinando per i dirigenti generali del S.S.R., un trattamento economico di 111.555 euro (al lordo) e per i direttori sanitari ed amministrativi di 89.244 euro lordi, inferiore rispetto agli stipendi delle figure apicali della dirigenza medica ed amministrativa. Il disegno di legge cancella la decurtazione che continuerà ad essere applicata per gli emolumenti delle altre figure apicali di aziende ed enti regionali, oltre delle società interamente partecipate dalla Regione. La decisione, inoltre, tiene conto dell’introduzione da parte del legislatore nazionale di un Elenco unico nazionale degli idonei alla nomina a direttore generale delle aziende sanitarie. Continuare a mantenere un trattamento economico sperequato tra una regione e l’altra avrebbe potuto comportare una minore disponibilità a ricoprire l’incarico in Puglia da parte dei candidati, inseriti nell’elenco nazionale, con maggiore esperienza, penalizzando la qualità della direzione delle stesse aziende.
“Abbiamo votato contro il ddl e ne riteniamo gravissima l’approvazione. Questo ddl – attaccano gli otto consiglieri pentastellati – dimostra che la vecchia politica non ha vergogna. Ci chiediamo come faranno, destra e sinistra, a spiegare ai cittadini che gli si chiedono enormi sacrifici e si chiudono ospedali in nome del contenimento della spesa, però poi si trovano risorse per aumentare dai stipendi ai direttori delle ASL? Non siamo a priori contro gli aumenti di stipendio, ma questi per i direttori delle ASL così come per qualsiasi dirigente pubblico, devono essere legati al raggiungimento degli obiettivi e pur comprendendo che un DG debba percepire più di un primario e di un direttore di distretto, aumentare gli stipendi oggi è una scelta inopportuna perché tutti i giorni viene negato ai cittadini il diritto a curarsi come dimostrano i dati della mobilità passiva passata da 240 a 280 milioni. Abbiamo una sanità allo sfacelo – incalzano – dove le Asl hanno fallito tutti gli obiettivi, le liste d’attesa continuano ad allungarsi e per una visita in ospedale è necessario andare in intramoenia. Quindi non capiamo come si giustifichi questo aumento di stipendio, l’eliminazione della decurtazione del 10% dello stipendio di oggi, si aggiunge a quella del 20% dello scorso 13 giugno. Se i tagli fatti finora sono serviti per trovare nuove risorse, perché queste non sono state impiegate per potenziare l’offerta sanitaria o ridurre ticket? Ci sarebbe piaciuto – concludono – chiederlo al Presidente Emiliano, ma non abbiamo avuto il “piacere” di vederlo in Consiglio, così come era accaduto in Commissione”.