“Gluten friendly” doveva essere la ricerca innovativa pugliese per risolvere i problemi dei celiaci. Proprio dal Tavoliere, granaio d’Italia sin dai romani, sarebbe arrivata sugli scaffali la nuova farina prodotta da uno dei colossi del settore, Casillo Group di Corato. L’Università di Foggia non si è fatta scappare l’occasione e nel 2015 ha puntato dritto sull’obiettivo, anche perché secondo le previsioni – oltre all’investimento di oltre 2 milioni di euro – in due anni si sarebbe arrivati sul mercato, con un ritorno importante in termini occupazionali per la Capitanata.
Ma non è andata proprio così. Le dichiarazioni del ceo e presidente dello spin-off “New Gluten World”, Carmen Lamacchia, hanno spaccato una parte dello storico gruppo di ricerca capeggiato dal docente della facoltà di Agraria Aldo Di Luccia (con al suo fianco Carmen Gianfrani del Cnr), il primo a lanciare l’allarme sulla fallibilità degli esiti commerciali e scientifici del progetto. Se a questo si aggiunge che le menti sono state trasferite da Foggia a Corato – con evidenti contraccolpi per l’economia e la ricerca in Capitanata -, ci si rende conto della necessità di interrogarsi sull’operazione che ha attratto l’interesse prima del governatore Michele Emiliano, poi della comunità scientifica internazionale in virtù delle pubblicazioni giornalistiche e dei numerosi premi per il “più grande spin-off d’Europa”.
“Prima che cominciasse la campagna pubblicitaria ho cercato di frenare gli entusiasmi – ha spiegato Di Luccia a l’Immediato -, perché una cosa è il brevetto sulla metodologia, tutt’altro è il trasferimento ai celiaci. È possibile creare farine specifiche, ma bisogna valutare prima tutti gli effetti. Evidentemente però qualcuno ha voluto puntare più sul marketing che sulla qualità della ricerca scientifica, io non mi sono mai fatto trascinare in quanto mi interessava l’approfondimento di una metodologia che, al momento, non è in grado di garantire la completa immunogenicità. Il senso di responsabilità verso il popolo dei celiaci e verso la comunità scientifica ha determinato il mio atteggiamento prudente. Già all’inizio eravamo un po’ perplessi e scettici rispetto alla chiusura positiva di questo percorso, se poi Lamacchia arriverà a risultati scientifici validi, saremmo ben contenti di esserci sbagliati”.
Il punto nevralgico, secondo il docente, è che il sistema così com’è non funziona per una ragione molto semplice: la tossicità eliminata con la procedura riemerge durante i processi digestivi. “I test fatti vengono richiesti dalla Federal Drug Administration – chiosa ancora Di Luccia -, con la nostra attività siamo arrivati a 5 parti su milione, determinando un gluten free di fatto. Ma il trattamento era ingannevole: la tossicità veniva ‘mascherata’ prima di riemergere durante la simulazione dei processi digestivi”.
L’ultima mazzata per i sogni di gloria della start up è arrivata da uno studio pubblicato sulla rivista Food and Chemical Toxicology che mette in dubbio l’efficacia della tecnologia “Gluten Friendly”. Il metodo, nello specifico, si basa su un trattamento con microonde della granella di frumento inumidita con acqua, prima della molitura. La quantità di acqua, i tempi, la potenza e la temperatura utilizzati devono essere strettamente controllati per ottenere la detossificazione del glutine. A seguito del trattamento preliminare, secondo gli inventori, si otterrebbe una farina adatta ai celiaci, incapace di scatenare reazioni avverse, come indicano le analisi di laboratorio pubblicate su diverse riviste. La novità del metodo è la capacità di produrre una farina per celiaci in grado di panificare e lievitare normalmente, al contrario di quelle gluten free in commercio. Ma l’articolo pubblicato da Food and Chemical Toxicology non concorda con queste conclusioni. La scienza, al momento, si è pronunciata. L’unica possibilità per Lamacchia e Casillo è confutare sullo stesso piano la pubblicazione. Nel Regno Unito l’Università di Roehampton sta già lavorando su un numero ristretto di pazienti affetti da celiachia, i quali stanno mangiando per brevi periodi pane realizzato con la farina “Gluten Friendly™” per verificare l’effettiva detossificazione del glutine. Se lo studio avrà esito positivo, si procederà con un trial destinato a coinvolgere un numero più ampio di pazienti e per un tempo maggiore. Solo così potranno essere ribaltati i risultati concreti della simulazione conclusa da Di Luccia che ha bocciato l’applicabilità del metodo.