Partita la caccia ai maghi del furto d’auto. Un po’ come in “Fuori in 60 secondi”, film del 2000 con Nicolas Cage, anche nella nostra provincia è stata pizzicata una banda specializzata in furti di autovetture di grossa cilindrata. Non ci sono le Ferrari di quella pellicola ma molti bolidi tedeschi rubati e venduti all’estero. 17 le ordinanze di custodia cautelare in carcere, solo 4, finora, gli arrestati. Si tratta di Enzo Di Felice, nato a Pescara, classe ’71. Giovanni Guarnieri, nato a Roma, classe ’55. Vadar Petre, rumeno del ’78. E Alin Racman, anche lui rumeno ma del ’82. Tutti pesci piccoli dell’organizzazione, beccati a Pescara, Roma e Milano. Ora è caccia ai boss, tre uomini di San Severo già noti alle forze dell’ordine. Stamattina in conferenza stampa non sono stati forniti i nomi. Polizia e Guardia di finanza sono certi di poter arrivare ai capi del gruppo in breve tempo. 5 in tutto gli italiani della banda. Bulgari e rumeni tutti gli altri. Due le basi operative: San Severo e Pomezia.
Il sistema
Tutto nasce dal ritrovamento di 3 Bmw e molti pezzi di auto incendiate in un casolare di San Severo. Da lì è partita l’indagine della questura di Foggia e dei finanzieri di Avellino che hanno scoperchiato il sodalizio criminale. I malviventi rubavano auto di grossa cilindrata previamente individuate da un basista. Poi venivano rivendute all’estero (ma anche in Italia) dopo la clonazione del telaio, dei documenti di circolazione, della targa e della centralina elettronica contenente i dati identificativi del veicolo. Le auto finivano in Spagna, Repubblica Ceca e Grecia.
Le auto venivano rubate dopo precise richieste degli acquirenti e dei ricettatori. Le intercettazioni telefoniche hanno fatto emergere che spesso venivano richiesti addirittura allestimenti, colori o serie particolari, ragion per cui il sodalizio era costretto a un vero e proprio lavoro di ricerca sul territorio del veicolo da rubare. A tutti i costi.
Il traffico internazionale
L’organizzazione, avvalendosi delle proprie ramificazioni e di fiancheggiatori residenti in altri paesi dell’Unione Europea, procedeva ad acquisire i dati (numero targa e telaio) di autovetture simili (serie, colore, interni e optional) regolarmente circolanti e che avrebbero costituito la base per la creazione del futuro clone, cui andavano riferiti documenti e targhe – speculari all’originale – falsificati abilmente, tanto da trarre in inganno gli operatori di polizia in caso di controlli su strada.
L’opera dei “professionisti”
In una seconda fase, affidata a veri e propri “professionisti” del settore, si riusciva a dissimulare la falsificazione del numero del telaio, senza che fosse visibile la differenza con la punzonatura originale e, pertanto, venivano lentamente ricompensati per le loro prestazioni.
Il nuovo numero impresso sui telai corrispondeva a quello del clone individuato all’estero: in pratica, veniva sostituita l’intera serie alfanumerica del telaio con quella appartenente ad un altro veicolo circolante in un altro paese, diverso rispetto a quello dove sarebbe stata commercializzata l’autovettura.
La terza fase era costituita dalle operazioni di ricodifica delle centraline elettroniche, dei tachimetri e delle chiavi di avviamento. La ricodifica delle chiavi e delle centraline elettroniche di autovetture di grossa cilindrata richiede altissimi livelli di competenza e capacità tecniche notevoli, in quanto gli stessi apparati elettronici sono muniti al loro interno di sofisticati sistemi di protezione e solo alcuni software sono in grado di assicurare il buon esito delle modifiche. Dalle indagini è emerso che l’organizzazione avesse grande attenzione rispetto all’aggiornamento continuo degli apparati utilizzati e dei software che venivano acquistati in rete in uno Stato estero e, successivamente, trasportati in Italia.
La vendita e i guadagni
Ultima fase: la commercializzazione che poteva avvenire, previa immatricolazione, sia in Italia che all’estero, ad eccezione del paese dove era circolante l’autovettura clonata. Durante l’indagine sono stati eseguiti numerosi riscontri oggettivi su autovetture, precedentemente trafugate, sottoposte a sequestro e restituite ai legittimi proprietari, sulle quali è stato acclarato il meccanismo studiato dalla banda. 12 le auto rinvenute, 2 quelle restituite ai legittimi proprietari, molte altre irrecuperabili. Le macchine venivano rivendute a cifre irrisorie, attorno ai 20mila euro, meno della metà rispetto al valore di mercato. Ora, come detto, è caccia agli altri destinatari dell’ordinanza odierna di custodia cautelare. Tutti i capi sono in fuga e finora irreperibili.