Anche se in Italia c’è una sola direttiva nazionale (le Linee Guida approvate nell’Accordo Stato Regioni del 2011), nelle singole regioni i pazienti in stato vegetativo o di minima coscienza (i cosiddetti disordini della coscienza), seguono percorsi terapeutici e di cura anche molto diversi. È quanto emerso dai dati del Progetto nazionale “Incarico – Modello di integrazione socio-sanitaria nella presa in carico dei pazienti con disordine della coscienza”, partecipato e finanziato con fondi del Centro Nazionale per la Prevenzione e il Controllo delle Malattie (CCM) del ministero della Salute e coordinato dall’Istituto Neurologico Carlo Besta” di Milano. Il progetto è stato presentato oggi a Roma in occasione della Giornata nazionale degli stati vegetativi. Il progetto ha permesso – tra i vari risultati raggiunti – di realizzare una mappa, sinora assente, di 2542 strutture dedicate anche a questi pazienti in 11 regioni con l’indicazioni dei posti letto relativi e ha validato tre checklist utili per monitorare i nodi e i flussi nei servizi dei percorsi nella fase acuta, post acuta e degli esiti.
Inoltre, è stato analizzato anche il percorso di cura realmente seguito da 90 pazienti nelle differenti regioni, per capire se e di quanto si è scostato da ciò che è stabilito dalla normativa nazionale e regionale. Tutte le regioni che hanno partecipato al progetto dimostrano di aver recepito, seppur con modalità differenti, le indicazioni presenti nell’Accordo Stato-Regioni. Emerge, tuttavia, la necessità di semplificare la normativa: infatti, per applicare una linea guida nazionale 11 regioni hanno ben 106 norme legislative locali. Dieci delle undici regioni studiate hanno adottato la direttiva con delibere dedicate e la regione mancante, la Sicilia, ha espresso di farlo in un prossimo futuro.
L’applicazione di queste normative nella pratica clinica ha gradi diversi: nella cura delle persone nella fase acuta la normativa è seguita da tutte le regioni mentre solo sette su undici regioni hanno creato strutture dedicate a pazienti post-acuti. Anche per i pazienti nella fase degli esiti, per coloro che non sono più in pericolo di vita e che hanno terminato una fase di recupero, la situazione è disomogenea: solo quattro regioni (Calabria, Campania, Sicilia e Veneto) hanno attivato strutture di cura dedicate e sei (Emilia Romagna, Liguria, Lombardia, Piemonte, Umbria e anche il Veneto) hanno attivato centri specifici all’interno di alcune Residenze Sanitario Assistenziali (RSA). Le restanti due regioni (Lazio e Puglia) non hanno attivato strutture dedicate per il trattamento dei pazienti nella fase degli esiti. Anche rispetto al numero di strutture sul territorio per il trattamento dei pazienti e al numero di passaggi in cui si articola il percorso di cura la situazione nelle diverse regioni è molto diverse: Calabria, Campania e Sicilia concentrano il flusso dei pazienti in poche strutture e hanno pochi passaggi nel percorso di cura, mentre le altre regioni (Emilia Romagna, Lazio, Liguria, Lombardia, Piemonte, Umbria e Veneto) hanno un modello opposto con molti centri e molti nodi nel percorso.
(Agi)