“Le prospettive sono migliori, grazie soprattutto ai partner giapponesi e turchi. Finalmente possiamo uscire dalla palude, ma serve maggiore flessibilità nel lavoro e competizione tra gli stabilimenti”. Così il segretario nazionale della Fismic, Roberto Di Maulo, ha esordito spiegando il Piano industriale che l’amministratore delegato di Fiat, Sergio Marchionne, ha illustrato lo scorso 6 maggio a tutti i segretari dei sindacati. Ad ascoltarlo, nella sala conferenze dell’Amgas, i dipendenti di Melfi, della Fpt di Foggia, della Sevel di Val Di Sangro, di Bari e di Lecce.
Il modello mondiale del nuovo gruppo, forgiato sull’accordo con Chrysler e sulle strategie di Cnh, dovrà comportare uno stravolgimento del concetto tradizionale dei rapporti azienda-sindacato. Sullo sfondo, non casualmente, la critica alla Fiom passa ancora una volta dalle parole del segretario della Basilicata, Antonio Zenga: “Alla Fiat sono state sollevate critiche sui 18 turni, mentre a Grottaglie, con l’Alenia, hanno chiuso un accordo su 21 turni. Evidentemente, questo tipo di approccio non può essere più condiviso. Le relazioni sindacali devono mutare così come sta mutando l’economia globale. È necessario che le imprese tornino sui mercati. Altrimenti, c’è il rischio di ripetere il grande flop del 2009, quando la produzione della Punto a Melfi venne rallentata – nonostante la crescita esponenziale delle richieste con gli eco-incentivi – a causa del diniego sindacale ai 4 sabato di straordinario richiesti dall’azienda”. Non è un caso che Di Maulo, durante l’incontro all’Amgas di oggi, abbia pontificato il premier Matteo Renzi: “I punti nel suo programma sono gli stessi della Fismic – ha spiegato -, è finita l’epoca della concertazione, di cui ancora parla la Cgil. Adesso va esteso l’accordo di Pomigliano a tutti gli stabilimenti d’Italia: basta con i vecchi riti, adesso ripariamo dagli accordi decentrati”.
Del resto, le scelte del guru italo-canadese hanno una incidenza diretta su una fetta importante del lavoro in Puglia e Basilicata. Basti pensare che a Melfi, tra Sata (Fiat) e indotto, lavorano più di 2000 foggiani. Così come a Foggia, dove alla Fpt Industrial sono impiegati circa 1700 lavoratori (fino a cinque anni fa erano 2000) per la produzione di motori per veicoli industriali. Secondo il segretario provinciale Adrea Mancino, tenere nello stesso discorso le due “anime” produttive del gruppo (quello delle automobili e del comparto industrial) potrebbe essere una forzatura: “A Foggia la Powertrain ha fatto registrare volumi davvero importanti, adesso però bisognerà confermare il trend in crescita – commenta a l’Immediato -, per il momento ci sono stati segnali positivi sull’occupazione, come il reinserimento di 46 lavoratori interinali (con contratto weekend), che avevano già fatto esperienza in azienda e che adesso lavoreranno almeno fino a settembre. Noi abbiamo un prodotto di eccellenza, tuttavia bisognerà capire quali saranno gli scenari futuri per poter ritornare a parlare di nuove assunzioni”.
Lo scenario interessante, di qui al 2018, riguarda invece certamente Melfi e la produzione Jeep: “Per la prima volta nella storia verrà prodotto lo stesso veicolo in tre Paesi diversi, con culture di impresa e costi del lavoro completamente differenti – ha spiegato Di Maulo –. Fatto 10 il costo del lavoro a Melfi, a Pernambuco (in Brasile) è 3, mentre in Cina (terzo stabilimento) è 1,5. Questo significa una cosa sola: a Melfi devono sapere che ogni minuto perso farà mettere lo stabilimento in competizione con gli altri. L’unica via d’uscita è puntare sulla qualità…”. Tra gli investimenti, per lo stabilimento molisano è previsto circa 1 miliardo di euro per i prossimi anni. Notevoli risorse verranno destinate agli altri stabilimenti nella Penisola. A Foggia, invece, arriveranno poco più di 13 milioni di euro per il diesel del futuro a basse emissioni. Il tema centrale dei prossimi anni sarà la produttività: “L’Italia – chiosa il segretario nazionale della Fismic – utilizza gli impianti al 53 per cento (rispetto al 66 della media europea). Secondo il Piano presentato da Marchionne, verrà portata al 100 per cento nel 2018 (piena occupazione), grazie alla previsione sulle esportazioni, visto che il 40 per cento della produzione sarà destinata ai mercati esteri”. La palude è alle spalle, dunque. Ma il pareggio nel gruppo verrà raggiunto solo nel 2016. Sino ad allora, sarà difficile aspettarsi novità rilevanti in busta paga. Molto più probabile, al contrario, una sterzata sindacale verso il modello costruito negli ultimi anni dal manager in maglioncino, Sergio Marchionne.