Una vera e propria lectio magistralis sulla mafia foggiana, quella regalata al pubblico del Teatro Verdi di San Severo dal pm della DDA di Bari, Giuseppe Gatti. Il magistrato, tra i massimi esperti delle dinamiche criminali di Capitanata, ha tenuto un intervento molto appassionato nell’ambito di un incontro sulla legalità. Per farlo è tornato su alcuni punti già affrontati in “100 passi verso il 21 marzo”, pubblicazione a cura di Libera, Coordinamento provinciale di Foggia, CSV Foggia, con il sostegno della Fondazione dei Monti Uniti.
“Questa mafia non ha nulla a che vedere con la Sacra Corona Unita. Questa è la Quarta Mafia e ha saputo mettere insieme tradizione e modernità. La tradizione è quella tipica del familismo mafioso della ‘ndrangheta. Qui, su queste terre, vincolo di famiglia e vincolo di mafia sono la stessa cosa. Qui non si fanno affiliazioni o altre sceneggiate perché non c’è nessun salto di appartenenza da fare; tra la famiglia biologica e quella mafiosa non c’è differenza e quindi non si fanno le affiliazioni”.
Per tradizione, Gatti intende anche il parallelismo con la ferocia della camorra. “Uno studio della medicina legale – come riportato tempo fa da l’Immediato – ha dimostrato che il 90% delle vittime della mafia garganica non hanno più il volto. L’obiettivo della mafia che agisce con queste modalità è quella di “cancellare” l’avversario; colpirlo così forte da non volerlo semplicemente togliere di mezzo, ma azzerarlo completamente, come se non fosse mai venuto al mondo. Cancellando e sfigurando il volto si vuole negare la possibilità di conservare la memoria di questa persona. Si decide di cancellare il viso di una persona per impedire che i cari possano in qualche modo conservarne il ricordo. La stessa ferocia si manifesta anche quando si fanno sparire i cadaveri dei morti ammazzati (lupare bianche, ndr)”.
Nel parlare di camorra, il pm ha ricordato la riunione voluta dal boss napoletano della Nuova Camorra Organizzata (NCO), Raffaele Cutolo nel 1979 quando benedì la “Società Foggiana” anche con l’obiettivo di trasferire sull’Adriatico i traffici legati al contrabbando e oggi alla droga. “Un modo per sfuggire dall’area tirrenica dominata dal clan dei Marsigliesi. La caratteristica della Nuova Camorra era la ferocia e noi ce l’abbiamo”, ha aggiunto Gatti.
Ma c’è anche modernità: “La Quarta Mafia è in grado di fare rete e squadra”. Un esempio è dato dalla collaborazione tra foggiani e garganici ma sono davvero tante le alleanze tuttora attive in Capitanata. “L’organizzazione è militare, compatta, feroce, salda sul territorio, ma, allo stesso modo, interagisce e ragiona con la logica della rete, quindi, fa alleanze. C’è l’alleanza dei clan della montagna con quelli della città; l’alleanza con i Casalesi per quanto riguarda il traffico dei rifiuti; le operazioni di infiltrazione nei vari settori nevralgici dell’economia, nel mondo dell’agricoltura: la cosiddetta “agromafia foggiana”. Alcune indagini hanno dimostrato le infiltrazioni della mafia foggiana nel vitivinicolo, addirittura il coinvolgimento nelle imprese del nord Italia. E poi le infiltrazioni nel settore del pomodoro, nel settore del grano; l’aggressione al turismo, altro grande polo dell’economia, per non parlare dell’edilizia, dove oramai sono storiche oltre che documentate anche dalla recentissima “indagine Corona”, già riconosciuta in via definitiva dalla Corte di Cassazione, le estorsioni ai grandi circuiti dell’imprenditoria edile del foggiano.
Quindi è una mafia che ha una capacità di guardare oltre, di cercare di aprirsi, per esempio al narcotraffico internazionale con le organizzazioni straniere. È una mafia che sta crescendo, che sta facendo importantissimi salti di qualità, che si sta sempre più caratterizzando come “mafia degli affari” e che sta cercando di ampliare i propri orizzonti.
Per tutti questi motivi diventa un’esigenza comune spezzare la “dipendenza dalla mafia” diffusa in Capitanata e colmare il vuoto di comunità, sviluppando la legalità del Noi. Quel Noi che deve diventare la nostra comune battaglia e che può partire così, semplicemente, anche da questo nostro incontro”.
Volpe, procuratore DDA: “A Foggia nostro impegno è massimo”
Il procuratore della DDA di Bari, Giuseppe Volpe è invece tornato sulla strage di San Marco in Lamis e sull’arresto di uno dei killer, il manfredoniano Giovanni Caterino: “Per individuare la persona che viaggiava nell’auto, i Ros di Roma hanno dovuto incrociare 200 ore di visionati, i dati delle celle dei telefoni cellulari e del GPS. Sono stati incrociati 8 milioni di dati, sarebbero bastati due testimoni attendibili per risparmiare 2 anni di lavoro. È un lavoro immane e ringrazio Minniti per aver potenziato la polizia giudiziaria, così si può contrastare la mafia. La procura – ha aggiunto – è presente e lo è in particolare a San Severo e a Vieste, dove in 3 anni si sono verificati 9 omicidi e 6 tentati omicidi. C’erano 5 magistrati della mia procura a Foggia. 5 su 9 sta a significare che il nostro impegno è massimo”.
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