Si scava nel mondo della criminalità organizzata di San Severo per identificare gli autori dei due agguati avvenuti in città in piena estate. La sera dello scorso 11 luglio l’uccisione di Matteo Anastasio, ammazzato a colpi di pistola mentre festeggiava l’Italia campione d’Europa. Ferito gravemente il nipotino, tuttora sotto le cure dei sanitari. Poi, il 14 agosto, un altro agguato, stavolta di pomeriggio in corso Leone Mucci, vittima Luigi Ermanno Bonaventura, uno dei pregiudicati più in vista del quartiere “San Bernardino”, un rione a forte rischio criminalità, scenario di numerosi episodi di cronaca.
Secondo chi indaga, la pista della mafia sarebbe quella più accreditata alla luce dell’acerrima rivalità tra i clan Testa-La Piccirella e Nardino-Russi, entrambi decapitati da alcune importanti operazioni messe a segno da DDA di Bari e forze dell’ordine. Nel 2019 il bliz “Ares” spedì in carcere i maggiori boss, su tutti Severino Testa “Il puffo”, Giuseppe La Piccirella alias “Il professore” e i fratelli Franco e Roberto Nardino, detti “Kojak” e “Patapuff”, questi ultimi due a capo della batteria omonima nella quale avrebbero gravitato i pregiudicati uccisi questa estate. Alla base della guerra tra le due fazioni ci sarebbe soprattutto il controllo della droga nell’Alto Tavoliere: da anni i sanseveresi smerciano stupefacenti con la collaborazione dei clan di San Nicandro Garganico ed il sostegno di gruppi campani. I boss farebbero affari anche tra Molise e Abruzzo dove avrebbero allungato i propri tentacoli pur di accrescere il business illecito. Ma ad alimentare il clima di tensione nella malavita locale ci sarebbero anche le recenti condanne inflitte ai capi dell’organizzazione. Ciò avrebbe creato un vuoto di potere che qualcuno starebbe provando a colmare con il sangue.
Un vuoto di potere dettato dalle sentenze del processo abbreviato di primo grado, “Ares” che ha inferto dure condanne ai capi. Diciotto anni di reclusione a Franco Nardino (la procura chiedeva 21 anni), già coinvolto e condannato in altri processi di mafia. Sedici anni e otto mesi al fratello Roberto, l’accusa chiedeva 18 anni. Pesante anche la condanna inflitta a Severino Testa, 16 anni di reclusione. A Foggia, invece, va avanti un altro filone del processo: alla sbarra La Piccirella e il foggiano Giuseppe Spiritoso alias “Papanonno”. Entrambi scelsero il rito ordinario. (In alto, La Piccirella, Testa e F.Nardino; a destra, Bonaventura; sullo sfondo, il luogo dell’agguato in corso Mucci)