di Daniele Calamita*
Prima di entrare nel merito di alcune considerazioni, che intendono accendere i riflettori su quanta ombra ci sia nelle filiere alimentari e di come sia scompensata la catena di distribuzione economica e delle ricchezze al suo interno, parto da chi sono, giusto per descrivere che le cose che dico/asserisco non sono frutto di fantasia ma bensì di conoscenza diretta, sono di Foggia e nasco dottore in agraria (con esperienza decennale nel campo) e da 22 anni lavoro nel sindacato (ho avuto anche incarichi politici diretti sulle tematiche che affronterò), per hobby mi dedico all’analisi e lo studio dei contesti macro e micro economici e sociali.
Per semplicità di comprensione del lettore, tratterò solo una filiera produttiva, nello specifico quella del Pomodoro ed in modo particolare nel foggiano, quel territorio che passa spesso agli albori della cronaca per lo sfruttamento lavorativo dei migranti, per i ghetti, per le condizioni di vita e di lavoro impossibili, visto anche l’approssimarsi della stagione di raccolta, che come ogni anno salirà alla ribalta nazionale, accendendo i riflettori come avviene per gli sport estivi, diciamo che fa tendenza; ma difficilmente si affronta mai risolvendola.
A mio avviso, lo sfruttamento lavorativo è strettamente legato ed interconnesso a quello che il mercato genera, voglio dirlo con chiarezza, la mia non è una difesa del mondo agricolo, che ha le sue belle responsabilità e colpe su questo contesto, ma voglio provare a focalizzare l’attenzione su quello che avviene nella filiera produttiva, serve farlo per avere un’immagine chiara di cosa stiamo trattando e di quali azioni (presumibilmente) speculative vi sono, ed anche magari come provare a risolvere alla radice il problema.
La filiera del Pomodoro è composta da una serie di step, in un passato recente la definì la piramide dello sfruttamento, una piramide fatta a gradini, ogni gradino (tranne il primo) è a sua volta vittima ed artefice di sfruttamento, in pratica, nessuno è escluso da questa dinamica.
1-alla base della piramide c’è il lavoratore agricolo, soggetto estremamente ricattabile, con contratti di lavoro (quando presenti) stagionale e/o giornaliero e che se non accetta determinate condizioni non lavora, specie se si tratta di migrante ed ancor di più se è sprovvisto di permesso di soggiorno; a questo andrebbe aggiunto il tema del caporalato e di quanto incide questa intermediazione illegale di manodopera.
2-al secondo posto della piramide dello sfruttamento c’è il produttore, l’azienda agricola, che a sua volta sfrutta il lavoratore adducendo motivazioni che vanno dalla bassa redditività aziendale, ai costi eccessivi di produzione ecc..; ma il produttore per conferire il prodotto all’industria di trasformazione deve necessariamente conferire attraverso una OP, e conferisce al prezzo concordato annualmente (il prezzo di ritiro generalmente viene fissato a giugno), quindi all’atto dell’avvio della produzione (trapianto delle piante ad aprile/maggio) il produttore non sa a quale prezzo venderà ad agosto il proprio prodotto e trattasi di prodotto estremamente deperibili, basta una pioggia ed il raccolto rischia di marcire.
3-terzo posto nella piramide è occupato dalle OP (Organizzazioni di Produttori), si tratta di soggetti che nella generalità dei casi sono cooperative, con un Presidente ed un CDA, associano produttori associati, e fra le loro competenze c’è la sottoscrizione (per conto dei propri associati) di accordi di conferimento alle industrie di trasformazione, quindi provvedono ad organizzare tutto il pezzo della commercializzazione del prodotto.
4-a questo punto c’è l’industria di trasformazione (nel caso del pomodoro detta industria conserviera), che ritira il prodotto, e lo lavora e trasforma inscatolandolo, ovviamente ritira il prodotto al prezzo concordato, ma una sottolineatura va fatta, ritira e paga il prodotto al netto dello scarto di produzione stabilito al momento del ritiro attraverso una campionatura soggettiva, in pratica se un tir contiene circa 40 tonnellate di prodotto, non è detto che al produttore sarà pagato tutto il carico, anzi il più delle volte (quasi mai) lo scarto non va mai sotto il 20%, il che significa che se tutto va bene, raccolgo 40 tonnellate e me ne pagheranno 32. Ovviamente come soggetto della piramide sfrutta il produttore in primis attraverso la contrattazione per il prezzo, avendo da un lato potere contrattuale e dall’altro anche forte dei tempi dell’accordo, infatti se stabilisco il prezzo a giugno, il produttore che ha già piantato le piante, gioco forza dovrà accettare qualsiasi prezzo, ma a sua volta anche l’industria è sfruttata da questo sistema perverso, sopra di lei ci sono gli intermediari e/o direttamente la G e/o MDO.
5-nella piramide non poteva mancare anche il ruolo esercitato dalla GDO e dalla MDO (grande e media distribuzione organizzata) che con le grandi campagne di ritiro e le campagne promozionali programmate (scontisitiche) ritira dall’industria ed immetterà in vendita, come per i punti sopra esposti anche essa è a sua volta vittima ed artefice della piramide, è vittima purché è sul mercato e sottostà alle logiche del libero mercato, ovviamente subisce l’influenza della concorrenza spietata, ma allo stesso tempo è artefice perché avendo anch’essa potere contrattuale stabilisce il prezzo di ritiro dall’industria, che se non vende deve tenere il prodotto in stoccaggio nei magazzini.
6-adesso vi chiederete: all’apice della piramide chi c’è? e bene si, udite udite ci siamo noi i consumatori, ebbene si, inconsapevolmente, abbiamo nelle nostre mani il potere più grande, noi siamo quelli che decidiamo e determiniamo lo sfruttamento e di quanto questo deve essere più o meno pesante. Nelle nostre mani un potere talmente tanto grande che non sappiamo di averlo.
Proviamo a calare la piramide su ambiti economici, così ci rendiamo conto di cosa stiamo parlando. Nella campagna del pomodoro del 2020, l’accordo ed il prezzo di ritiro fu stabilito e suggellato l’accordo il 17 luglio (per capirci ad agosto si raccoglie il prodotto) ed il prezzo fu stabilito in 105 €/tonnellata per il pomodoro tondo e 115 €/tonnellata per il pomodoro lungo, in altri termini volendo rapportare al Kg 0,105 € per il tondo ed 0,115 per il lungo; per comprendere ancora meglio di cosa stiamo parlando, il tondo viene usato generalmente per produrre salse/passate e concentrati, il pomodoro lungo è stato esclusivamente per produrre il pomodoro pelato.
Bene, avendo visto, quanto l’industria riconosce al produttore, vediamo quanto lo stesso riconosce al raccoglitore, generalmente la raccolta può essere o meccanizzata oppure a mano, quando è a mano generalmente è fatta attraverso lavoratori migranti che lavorano a cottimo (raccolta a cassone), un cassone (mega casse in plastica) anche detto Binz ha una capienza di quasi 300 kg, ed al lavoratore vengono riconosciuti (a cottimo) da 3 a 5 euro a Binz, tradotto al Kg, al lavoratore che lavora a cottimo viene riconosciuto per la raccolta da 1 a 1,6 centesimi di euro per Kg raccolto.
Sempre per avere un’immagine chiara di cosa sia questo sistema perverso, vediamo noi consumatori quanto paghiamo quel pomodoro? se prendiamo a riferimento il blocco delle salse/passate, mediamente 330 grammi la paghiamo (senza offerte e con un prodotto medio, no bio) circa 1,50 € che tradotto in Kg significa 4,55 €, mentre per i pomodori pelati il barattolo da 400 grammi (la linea più utilizzata in casa) lo paghiamo circa 1 euro, ma nei fatti su 400 grammi, solo 250 grammi sono di prodotto sgocciolato, il resto (150 grammi) è salsa ed altre sostanze tipo acidificanti ecc…, quindi volendo stabilire il prezzo che come consumatori paghiamo per singolo Kg di pomodoro pelato, facendo una semplice proporzione ci esce che a noi costa circa 4 € al chilogrammo.
Volendo tramutare in percentuale di rincaro fra quanto viene riconosciuto al produttore e quanto paghiamo come consumatori, i conti sono belli e fatti, sui sughi e le passate il rincaro è del 4.333,3%; mentre sui pelati il rincaro è del 3.478,3%.
Ovviamente sono % che ci dicono tutto e ci dicono niente, inteso che bisognerebbe entrare nell’analisi in tutti i pezzi della filiera, ma cosa impossibile, si tratta di zone d’ombra, è sapere cosa guadagna l’industria conserviera, cosa guadagnano gli intermediari della filiera ed ovviamente cosa guadagna la M e GDO.
Il dato di fatto come sopra detto e che NOI con il nostro fare quotidiano siamo coloro che generano o meno, orientandosi su determinati prodotti piuttosto che su altri, in NOI c’è il massimo del potere contrattuale di decidere se premiare aziende e produzioni eticamente sostenibili, ma per fare questo bisogna assumere la consapevolezza di essere e/o diventare consumatori attenti ed edotti.
Ovviamente, alcune cose potrebbero essere fatte per migliorare il contesto, vi riporto alcuni esempi, in primis le trattative sul prezzo di ritiro, potrebbero essere chiuse entro dicembre dell’anno precedente, in modo tale, che il produttore possa decidere se avviare o meno la coltivazione sapendo a che prezzo venderà il prodotto; altra cosa da fare potrebbe essere quella che lo scarto (che l’industria stabilisce) potrebbe essere stabilito non in modo soggettivo ma oggettivo; ancora? potrebbe essere fissato un prezzo minimo riconosciuto all’industria sotto il quale la M e GDO non possano scendere; ed ancora potrebbe essere fissato un prezzo di ritiro maggiore per quelle aziende che producono in contesti lavorativi etici e per finire, sono solo alcune idee facilmente praticabili, si potrebbe stabilire ed introdurre in etichetta la tracciabilità del prezzo, cosa che oggi si fa sul prodotto, ma stranamente non sul prezzo, sarebbe bello sapere di quelle % sopra riportate, quanto e chi ci guadagna in termini percentuali?
*agronomo e sindacalista