Non era un semplice scambio occasionale, ma un vero e proprio “rapporto di consuetudine corruttiva” quello tra Giuseppe De Benedictis, ex gip del Tribunale di Bari, e Giancarlo Chiariello, avvocato penalista che in passato ha assistito anche figure di primo piano della criminalità organizzata foggiana. L’inchiesta coinvolse anche il viestano Danilo Della Malva detto “U’ Meticcio”, oggi collaboratore di giustizia.
Nei giorni scorsi, la Corte di Cassazione ha rigettato i ricorsi delle difese e reso definitive le condanne a sette anni per l’ex magistrato e a sei per l’avvocato.
La sentenza – riportata dalla Gazzetta del Mezzogiorno – chiarisce che i due non avevano stabilito un “accordo fisso”, ma una sequenza di intese singole che puntualmente portavano, dietro compenso, a favori giudiziari. Si tratta, secondo la Suprema Corte, di quattro distinti episodi di corruzione in atti giudiziari, verificatisi tra giugno 2020 e aprile 2021, ciascuno autonomamente valutabile e punibile.
Chiariello – sottolineano i giudici – non cercava un vantaggio economico personale, ma mirava ad accrescere la propria reputazione professionale garantendo ai suoi assistiti la revoca delle misure cautelari. Una modalità che, secondo i magistrati, ha inciso gravemente sull’integrità della funzione giudiziaria, abusata e asservita a interessi privati.
La Cassazione ha riconosciuto piena attendibilità alle dichiarazioni di De Benedictis, che ha confessato di aver ricevuto somme da Chiariello in cambio di scarcerazioni. Ha invece bocciato la linea difensiva dell’ex avvocato, che aveva tentato di ribaltare i ruoli dipingendosi come succube del giudice e privo di reale potere contrattuale. “Non si è trattato – ha precisato la Suprema Corte – di una confessione strategica, ma di una piena assunzione di responsabilità”.
Un capitolo a parte riguarda Alberto Chiariello, figlio di Giancarlo, assolto in due dei tre episodi corruttivi contestati. Secondo i giudici, non vi è prova che il giovane legale fosse al corrente del patto illecito tra padre e giudice, tranne in un’occasione, quando fu lui a consegnare una busta piena di denaro nel parcheggio del Tribunale. Per questo episodio la Corte d’Appello di Bari dovrà ora rideterminare la pena.
Entrambi i principali imputati stanno scontando le condanne agli arresti domiciliari. La vicenda scuote ancora una volta l’immagine del Palazzo di giustizia barese, anche per la caratura degli assistiti difesi nel tempo da Chiariello senior, tra cui – come ricordato – alcuni esponenti noti della mafia della provincia di Foggia. Un dettaglio che aggiunge ulteriore gravità a una rete di relazioni che ha piegato la giustizia agli interessi privati, in un momento storico in cui la credibilità delle istituzioni è già fortemente messa alla prova.