Un sistema blindato, in cui la cocaina poteva essere acquistata solo dai clan della mafia foggiana. Chiunque avesse provato a rifornirsi altrove avrebbe rischiato grosso, “potevano anche ammazzarlo”. È la ricostruzione fornita dal pentito Alfonso Capotosto, ex uomo di fiducia del clan Moretti, che ieri ha deposto nel processo “Game Over”, in corso a Foggia, a carico di 19 imputati accusati di traffico di droga aggravato dal metodo mafioso. Pubblico ministero Bruna Manganelli della Dda di Bari.
Capotosto, ex spacciatore e oggi collaboratore di giustizia, ha parlato di un sistema consolidato, nato con l’obiettivo di monopolizzare lo spaccio della cocaina in città e garantire introiti costanti alla “Società foggiana”. Un business da 200mila euro al mese, organizzato con un accordo tra i clan Moretti-Pellegrino-Lanza e Sinesi-Francavilla.
L’accordo tra i clan e il controllo sullo spaccio
Secondo Capotosto, l’accordo per il controllo della droga sarebbe stato siglato nel 2015, dopo l’uscita dal carcere di Pasquale Moretti, figlio dello storico boss Rocco Moretti. “Appena uscito, Pasquale Moretti fece il giro dicendo: ‘Oh, ci mettiamo tutti assieme? Creiamo un’associazione unica per la droga?’. E fecero questa cosa qua, preparando la lista di chi doveva prendere i soldi”.
Un sistema imposto con la forza. “Chi spacciava doveva comprare per forza da loro, altrimenti rischiava la vita. Io stesso ebbi l’incarico di andare dagli spacciatori a dire: ‘La droga la devi prendere da noi’”, ha raccontato Capotosto, spiegando che per questo ruolo riceveva mille euro al mese.
Cocaina adulterata e un doppio circuito per la vendita
Il pentito ha spiegato che la cocaina arrivava a Cerignola e veniva poi venduta agli acquirenti foggiani. “La tagliavano, da un chilo ne facevano due”. Il mercato era organizzato su due livelli: un sistema “grande”, riservato ai grossisti e ai pusher di rilievo, in cui confluivano più soldi destinati anche al mantenimento dei detenuti in carcere; un sistema “piccolo”, in cui gli spacciatori di basso livello potevano comprare la droga da un cerignolano, ma sempre con il placet dei clan.
Secondo il pentito, il sistema si mantenne saldo fino al 2014, poi si ruppe. Tuttavia, per la Dda, lo stesso metodo venne ripreso tra il 2017 e il 2019, anni a cui si riferiscono le accuse mosse agli imputati.
Rocco Moretti junior nega: “Mai conosciuto Capotosto”
Nel corso dell’udienza ha preso la parola anche Rocco Moretti junior, 28 anni, nipote del boss e coimputato. Il suo intervento è arrivato per smentire il racconto di Capotosto, secondo cui nel 2012 il pentito gli avrebbe consegnato dei soldi destinati al padre Pasquale Moretti.
“Non conosco Capotosto, mai ricevuto soldi da lui. Nel 2012 avevo solo 15 anni“, ha dichiarato Moretti junior in aula. Sui social, però, i due compaiono insieme in una vecchia foto, datata 2014, pubblicata su Facebook.
Ora spetta ai giudici valutare la credibilità del pentito e il peso delle sue dichiarazioni, mentre la Dda continua a sostenere l’esistenza di un cartello mafioso che per anni avrebbe imposto il monopolio della cocaina su Foggia.