Sarà processato con l’accusa di omicidio aggravato dalla crudeltà e dalla minorata difesa il 44enne Fabio Carinci di San Giovanni Rotondo, ritenuto responsabile del brutale assassinio di Rachele Covino, 81 anni, massacrata di botte nel garage della palazzina in cui viveva, la mattina del 25 maggio 2024.
Il gup Francesca Mannini ha accolto la richiesta della Procura di Foggia, disponendo il rinvio a giudizio. Il processo inizierà il 14 marzo in Corte d’Assise a Foggia e sarà chiamato a valutare non solo la responsabilità penale dell’imputato, ma anche la sua capacità di intendere e volere al momento del delitto.
Un omicidio dettato da un delirio mistico
L’uomo, affetto da disturbi psichici, venne arrestato subito dopo il delitto mentre vagava per il paese indossando solo gli slip. Aveva confessato l’omicidio sostenendo di aver agito per un delirio mistico, dichiarando di sentire voci e di essere uno strumento di Padre Pio, incaricato di eliminare le presenze demoniache.
Non conosceva la vittima, una pensionata che quel giorno era appena rientrata a casa dopo aver pranzato con la figlia. L’aggressore sfondò il portone dello stabile e la uccise a calci e pugni, lasciandola senza vita nel garage. Nel suo primo interrogatorio raccontò al giudice di aver iniziato una “guerra contro il demonio”, decidendo chi doveva vivere e morire, convinto che la vittima, una volta “purificata”, sarebbe tornata in vita.
La perizia psichiatrica e il futuro del processo
Durante le indagini, una consulenza psichiatrica disposta dalla Procura ha accertato che l’uomo soffre di una psicosi indotta da droga e alcol, in un contesto di disturbo borderline di personalità. Secondo gli esperti, non era in grado di intendere e volere al momento dell’omicidio, poiché agì sotto l’effetto di allucinazioni e deliri mistici.
Attualmente si trova in una CRAP (Comunità Riabilitativa Assistenziale Psichiatrica) in Basilicata, dopo essere stato detenuto nel reparto psichiatrico del carcere di Lecce. Grazie alle cure, le sue condizioni sono migliorate al punto da essere ritenuto capace di partecipare consapevolmente al processo.
Se la Corte d’Assise dovesse confermare l’incapacità di intendere e volere, il 44enne verrà prosciolto e potrebbe essere ricoverato in una REMS (Residenza per l’Esecuzione delle Misure di Sicurezza), essendo stato ritenuto socialmente pericoloso.
Il nodo dell’aggravante della crudeltà
Nel corso dell’udienza preliminare, la difesa ha chiesto di escludere l’aggravante della crudeltà, puntando sul fatto che l’imputato non era in sé quando ha commesso il delitto. L’accusa, invece, sostiene che la modalità con cui è stato perpetrato l’omicidio supera il semplice atto di uccidere, rendendo legittima la contestazione dell’aggravante.
Il dibattito su questo punto sarà centrale nel processo. Se la Corte d’Assise dovesse confermare l’aggravante, la pena prevista sarebbe l’ergastolo. Tuttavia, il giudizio dovrà anche stabilire se l’imputato, pur essendo affetto da disturbi psichici, possa essere considerato capace di intendere e volere o se vada esclusa la sua responsabilità penale.