Anche la Corte d’Appello di Bari, secondo grado di giudizio, ha condannato l’ex consigliere comunale di maggioranza a Manfredonia, Adriano Carbone, 53 anni, imputato nel processo “Omnia Nostra” contro il clan Lombardi-Scirpoli-Raduano. Per lui un anno e 8 mesi di reclusione, esclusa l’aggravante mafiosa, per trasferimento fraudolento di valori. A Carbone pena sospesa e revoca del risarcimento dei danni. Per il resto i giudici baresi hanno confermato la stessa pena già inflitta in primo grado.
Il procedimento penale “Omnia Nostra”, almeno per gli imputati che scelsero l’abbreviato, è ormai giunto al capolinea, rimane la via della Cassazione, ma la competenza della Corte è limitata alle questioni di diritto e non riesaminerà il merito della questione.
Per Carbone resta la macchia di una condanna molto pesante per un politico, soprattutto in una realtà delicata come quella di Manfredonia. Come già scritto, infatti, Carbone è stato consigliere comunale nella maggioranza sipontina fino agli ultimi mesi del 2023, decaduto dopo il fallimento della Giunta guidata dal sindaco Gianni Rotice, durato meno di due anni alla guida dell’amministrazione.
Carbone, consigliere indipendente dopo l’estromissione da Fratelli d’Italia in seguito al blitz “Omnia Nostra”, fu tra quelli che si affannarono strenuamente per salvare la chiacchierata Giunta Rotice dalla caduta. Fece scalpore il suo dietrofront del settembre 2023 quando sembrava pronto a firmare per mandare a casa il sindaco salvo poi ripensarci e tentare di convincere anche gli altri a cambiare idea. Per farlo utilizzò persino le parole del vescovo Moscone al solo scopo strumentale di tenere Rotice al timone del Comune di Manfredonia. “Condivido il 99% di quello che fa questa maggioranza ma non sono organico”, disse in un’occasione.
Il coinvolgimento di Carbone in “Omnia Nostra” destò molta preoccupazione in riva al golfo creando imbarazzi e polemiche. Si trattò, infatti, di una situazione piuttosto inopportuna in un Comune sciolto per mafia soltanto pochi anni prima, per l’esattezza nel 2019. Ma Carbone non fece passi indietro, restando in aula da indipendente, a sostegno di Rotice&co. Una posizione alquanto scomoda dato che l’allora sindaco aveva predicato legalità in diverse occasioni comparendo anche accanto al procuratore nazionale antimafia o partecipando agli eventi di “Libera”, l’associazione di don Luigi Ciotti. D’altronde i guai giudiziari hanno poi travolto lo stesso Rotice, accusato di corruzione elettorale nel processo “Giù le mani” e a processo per omicidio colposo dopo la morte di un operaio in uno dei suoi cantieri.
Di recente la Prefettura di Foggia ha anche avviato una procedura che potrebbe portare ad una interdittiva antimafia a carico dell’ex sindaco manfredoniano. Infine, la storia degli abusivismi nella sua villa di Siponto e la patata bollente rappresentata dalla fidanzata Libera Scirpoli, sorella del boss Francesco detto “Il lungo”, uno dei capi carismatici del clan Lombardi-Scirpoli-Raduano. Tutte vicende narrate nei mesi scorsi da l’Immediato a cui Rotice ha risposto con una raffica di querele presentate anche attraverso l’ufficio legale del Comune, a spese dei cittadini.
Di cosa è accusato
Carbone, consulente commercialista, si sarebbe prodigato in favore di Antonio Zino, fedelissimo del boss Matteo Lombardi, quest’ultimo a processo con rito ordinario a Foggia. Zino, invece, è stato condannato a 8 anni e 8 mesi.
Nella sentenza del primo grado, in attesa di conoscere le motivazioni dell’appello, si legge: “Nei confronti di Carbone è stata esclusa la circostanza aggravante di cui all’art 416 bis 1 c.p.. Pertanto, valutati i criteri di cui all’art. 133 c.p., si stima congrua la pena base di anni 2 e mesi 6 di reclusione, leggermente superiore al minimo edittale in considerazione dell’intensità del dolo, manifestata dalla pervicacia con cui si è affannato nell’ideare soluzioni fraudolente in favore di Antonio Zino (uno dei condannati, ndr), che sapeva voler eludere un potenziale sequestro dei suoi beni. Non vi sono poi i presupposti per il riconoscimento delle attenuanti generiche, pur invocate dalla difesa, non ravvisandosi alcun indicatore positivo, diverso dallo stato di incensuratezza, cui ancorarle. La pena così determinata va ridotta per il rito (abbreviato, ndr), per una pena finale pari a anni 1 e mesi 8 di reclusione. La misura della pena in concreto irrogata consente la concessione della sospensione condizionale della pena, dovendosi ritenere pronosticabile, non essendo emersi indici di segno contrario, che il destinatario del presente provvedimento si asterrà per il futuro dal commettere nuovi delitti, anche in virtù dell’effetto deterrente esercitato dalla presente condanna”.