“Enzo Miucci utilizzava un telefono anche quando è stato detenuto a Nuoro. Del mantenimento in carcere di Miucci e Pettinicchio, ma più in generale delle questioni economiche per loro conto, si occupava Leonardo Miucci“. Così Marco Raduano, ex boss di Vieste, oggi collaboratore di giustizia, in una delle testimonianze contenute nell’ordinanza “Mari e Monti”, 39 arresti contro il clan dei montanari, Li Bergolis-Miucci.
Raduano ha parlato agli inquirenti di una lunga serie di questioni, soffermandosi anche sulla figura di Leonardo detto “Dino” Miucci, 46 anni, sfuggito alla cattura e tuttora latitante. L’uomo è fratello maggiore del boss Enzo alias “Renzino”, “U’ Criatur” o “Mutanda”, erede designato dello zio defunto Ciccillo Li Bergolis e dei pro cugini Matteo, Armando e Franco Li Bergolis, i primi due in galera a scontare circa 27 anni di reclusione mentre il terzo è all’ergastolo, tutti condannati in “Iscaro-Saburo”, il maxi processo che per la prima volta certificò l’esistenza della mafia sul Gargano.
Ancora Raduano su Dino Miucci: “Lui è il fratello di Enzo. Fa parte del gruppo da sempre. Anche quando andavamo a casa di suo fratello era presente agli incontri, anche se Enzo lo faceva stare defilato per non farlo conoscere a troppi soggetti. Era a conoscenza degli affari del gruppo. Aveva un risentimento nei confronti di Matteo Lombardi (54enne detto “A’ Carpnese”, capo del clan rivale, Lombardi-Scirpoli, ndr) che lui riteneva autore di un tentativo di omicidio nei suoi confronti. Quando ne ho parlato con Lombardi lui mi ha detto che non era coinvolto nella vicenda”. Raduano, inizialmente alleato ai montanari, passò all’organizzazione nemica Lombardi-Scirpoli dalla quale avrebbe appreso molte informazioni sulle dinamiche criminali tra Manfredonia, Monte Sant’Angelo e Mattinata. Oggi l’ex boss viestano è ritenuto un collaboratore di giustizia assolutamente credibile.
Su Dino Miucci ha anche ricordato l’agguato subito da quest’ultimo a fine novembre del 2019: “So che è stato vittima di un tentativo di omicidio in risposta all’omicidio di Pasquale Ricucci (ammazzato l’11 novembre 2019, ndr). È stato designato come vittima sia perché è fratello di Enzo – ha evidenziato il pentito -, sia perché ne portava avanti gli interessi criminali. Lui porta avanti la cassa del clan. Tutti i soldi delle attività illecite del clan li gestiva Leonardo. Queste informazioni le ho apprese dal gruppo di Manfredonia. So che una parte dei soldi sono investiti nelle attività edilizie. Ne abbiamo parlato con Ricucci, ma anche con Leonardo D’Ercole. Avevamo saputo che alcune ambasciate di Enzo Miucci arrivavano per il tramite di suo fratello che le riportava a D’Ercole. In una circostanza Miucci cercò di prendere le parti di Caterino (il basista della strage di San Marco, ndr) a seguito del tentativo di omicidio che aveva subito. In un’altra circostanza Enzo Miucci, sempre tramite Leonardo, fece chiedere per quale motivo avessero preso le mie parti su Vieste, dal momento che lui, invece, non li stava intralciando su Manfredonia. Credo che Leonardo Miucci portasse queste ambasciate perché coinvolto negli affari criminali del fratello. Dopo la morte di Mario Luciano Romito, il gruppo di Miucci si è espanso su Manfredonia”, la conclusione di Raduano.
La querela di Miucci a l’Immediato
Nel 2021, l’attuale latitante Miucci presentò querela, insieme ai propri familiari, contestando ben otto articoli de l’Immediato riguardanti l’organigramma del clan dei montanari e alcune intercettazioni che evidenziavano il ruolo di peso dell’uomo nel contesto della malavita garganica: “Lapalissiano – scrisse in denuncia – il meschino fine perseguito attraverso questo comportamento denigratorio dell’autore, acquisire visualizzazioni e like a discapito della nostra famiglia. La testata l’Immediato continua ad effettuare mere illazioni ed allusioni, ergendosi a giudice supremo, unico conoscitore del bene e del male“. E ancora: “È stata aggredita in modo gratuito la mia reputazione, quella della mia famiglia e della nostra impresa. Non si sono attenuti all’obbligo della continenza e le loro false affermazioni non possono essere scriminate dal diritto di cronaca. Come spesso accade chi si riveste dell’abito di paladino della legalità in realtà è egli stesso il primo che viola le norme del nostro vivere civile e quelle del codice penale. Sono un soggetto riabilitato ed inserito in un contesto sociale ordinato. Il resto sono ricostruzioni personali e fantasiose“.
Il gip di Foggia accolse la richiesta di archiviazione, bocciando l’opposizione presentata dai legali dei Miucci, dichiarando inoltre inammissibile l’opposizione dei parenti. “Il querelante ha dedotto e lamentato il carattere diffamatorio di vari articoli della testata giornalistica l’Immediato – scrisse il giudice -. Va rilevato che con riferimento a tali articoli opera, con portata scriminante, la causa di giustificazione del diritto di cronaca. Ricorrono infatti, nel caso in esame, le condizioni previste dalla consolidata giurisprudenza della Corte di Cassazione per l’operatività della scriminante del diritto di cronaca e cioè: l’interesse pubblico alla notizia, la continenza delle espressioni usate nel riportare la notizia e la verità della notizia. Rispetto a tali notizie innanzitutto è innegabile l’interesse della collettività all’informazione su temi che riguardano la sicurezza del territorio foggiano, dilaniato dalla criminalità organizzata. Inoltre, nel riportare le notizie dei fatti di cronaca nera – aggiunse il giudice -, il giornalista adopera negli articoli, investiti dalla querela, espressioni che non trascendono in forme di attacco gratuito e sconveniente che ledono la dignità della persona, ma si limitano a riportare anche in modo cauto (come per l’espressione ‘…Dino Miucci ritenuto a capo del clan…’) deduzioni scaturenti da attività giudiziarie (come per il richiamo al contenuto di intercettazioni), realmente svolte (e ciò a prescindere poi dall’esito)“.
E infine: “Il collegamento del contenuto degli articoli con l’attività giudiziaria in corso consente di ravvisare come sussistente anche la condizione della verità della notizia, quanto meno dal punto di vista putativo. Conseguentemente, la condotta denunciata può ritenersi non punibile in quanto integrante legittimo esercizio del diritto di cronaca”.