Ha scelto di essere chiamato “Tupak” in onore del rapper assassinato nel 1993, quando non era ancora nato. Michele Lavopa, 21 anni, di Bari, resta in carcere per l’omicidio di Antonia Lopez, 19 anni, barese, colpita da uno dei sette colpi di pistola calibro 7,65 esplosi nella notte tra sabato e domenica scorsa, in una discoteca di Molfetta (Bari). Proiettili destinati a Eugenio Palermiti, 20 anni, nipote dell’omonimo boss del quartiere Japigia del capoluogo pugliese, riconosciuto come parte lesa assieme a tre giovani rimasti feriti. Il giudice per le indagini preliminari del tribunale di Bari, Francesco Vittorio Rinaldi, ha convalidato il fermo eseguito dai carabinieri, contestando il metodo mafioso a Lavopa che ha confessato poco dopo essere stato rintracciato.
“Non volevo sparare alla ragazza. Sono profondamente dispiaciuto, non c’entrava niente”, ha detto nel corso dell’interrogatorio. Ha spiegato di essere andato in discoteca portando con sé l’arma, mai usata prima e comprata a San Severo (Foggia) “tramite un contatto su Telegram”, al costo di 1.400 euro, per “difendersi da eventuali aggressioni, come spesso accade nei locali notturni baresi” e ha aggiunto di essere stato vittima, quando era minorenne, di una “cappotta” per questione di ragazze: “Sono stato picchiato nel fortino di Bari vecchia, da molte persone, alcune travisate e il video è stato diffuso”.L’indagato ha detto di aver notato che nel locale c’era il gruppo di Palermiti, con il quale c’erano state tensioni in passato e di essere stato informato della minaccia armata posta in essere il 9 settembre scorso dallo stesso Eugenio Palermiti. Per questo si è spostato, ma incrociando quella comitiva avrebbe ricevuto offese e minacce. “Palermiti, con il cappuccio della felpa alzato, ha fatto un movimento improvviso, che lasciava intendere che fosse armato, come per estrarre l’arma”. A quel punto “preso dal panico” ha sparato “numerosi colpi a Palermiti” per poi darsi alla fuga. La pioggia di proiettili è stata ripresa dalle telecamere assieme al fuggi fuggi.
“Le modalità dell’agguato, commesso in luogo pubblico, con armi da fuoco, mediante l’esplosione di numerosi colpi, nonostante la presenza di numerose persone, sono indubbiamente evocative della forza di intimidazioni che promana da soggetti appartenenti ad associazioni mafiose” si legge nell’ordinanza di custodia cautelare in carcere di cui LaPresse ha preso visione. L’azione è stata posta in essere “con assoluta noncuranza rispetto al rischio di numerossimi testimoni presenti e di essere identificati”.Ma “nessuna delle centinaia di persone presenti, si è presentata presso i carabinieri, per rendere dichiarazioni, per la condizione di omertà derivante dalla caratura criminale dei pur giovanissimi soggetti coinvolti”. Quanto accaduto pone luce sul fatto che “i rampolli di alcune famiglie di mafia baresi, abbiano scelto le discoteche per regolare i conti nell’immediato o comunque per misurarsi e dimostrare la superiorità del clan di appartenenza”.
Secondo il gip è emerso un “contesto di contrapposizione tra gruppi criminali con ogni evidenza in vista del controllo del territorio”. E la custodia in carcere oltre che essere proporzionata all’entità del fatto, è l’unica in grado di scongiurare il rischio di reiterazione del reato, tenuto conto “dell’indole violenta, della spavalda ostentazione del possesso dell’arma” e ella necessità di recidere i “contatti dell’indagato con i circuiti criminali in cui ha mostrato di essere inserito o ai quali ha avuto accesso per il reperimento dell’arma”. (LaPresse)