La Procura di Bari ha impugnato l’ordinanza, chiedendone la revoca, con cui il Tribunale, lo scorso 10 settembre, ha disposto il controllo giudiziario – per due anni – della spa Lav.I.T. di Foggia, colpita nel 2023 da interdittiva antimafia per la presunta vicinanza alla mafia foggiana del suo ex amministratore unico, Michele D’Alba.
La Procura “considerata la dimostrata stabilità del condizionamento mafioso” – è scritto nell’appello – ritiene “che il controllo giudiziario” non possa “in alcun modo essere utile ai fini di un’eventuale ‘bonifica’ dell’impresa istante, quantomeno fino a quando sarà di fatto parte del gruppo D’Alba”. Il Tibunale barese – in funzione di prevenzione – aveva considerato “praticabile un programma di ‘bonifica’ dell’impresa”, considerato che lo stesso Michele D’Alba ha recentemente ceduto (al figlio Lorenzo) le proprie quote e che non sono emerse circostanze “sintomatiche di collegamenti tali da far supporre una comunanza di attività” tra la società e la criminalità organizzata, i cui contatti sarebbero stati solo occasionali.
La Procura, invece, ritiene che “l’infiltrazione e il condizionamento criminale” della Lavit, “oltre a essere risalente”, sia anche “stabile, duraturo e strutturale”. D’Alba, secondo quanto ricostruito dalle indagini della Dda ‘Decima Azione’ e ‘Decima Azione Bis’, avrebbe avuto contatti “periodici e continuativi, non già caratterizzati da subalternità ma, al contrario, dalla piena parità di posizioni” con un esponente di spicco della criminalità. D’Alba, scrive il Procuratore Roberto Rossi nell’appello, “lungi dall’apparire una mera vittima passiva del racket foggiano, al contrario, si confronta alla pari col sodalizio criminale, discutendo con gli esponenti della cosiddetta Quarta Mafia”.
Lo scorso maggio, tra l’altro, la Dda ha chiesto il rinvio a giudizio nei confronti di D’Alba (su cui pesano anche le rivelazioni del pentito Giuseppe Francavilla, ndr) per favoreggiamento aggravato e continuato nei confronti della batteria Moretti-Pellegrino-Lanza della ‘Società foggiana’. “La condotta posta in essere dall’imprenditore Michele D’Alba”, si legge ancora, denoterebbe per la Procura “la piena condivisione di fatto con la mafia di un sistema di illegalità, volto a garantire reciproci benefici, sia pure sotto la specie della “protezione'”. “L’influenza mafiosa – conclude il Procuratore Rossi – lungi dall’essere occasionale, nel caso di specie è strutturale e coessenziale alle attività di impresa svolte da tutto il ‘gruppo D’Alba’, inclusa quella svolta dalla Lav.I.T”. (Ansa)