Mafie e TikTok nell’analisi di Marcello Ravveduto, docente dell’Università di Salerno e attento studioso delle dinamiche social da parte della criminalità organizzata. Ieri sera a Palazzo Dogana a Foggia si è tenuto un interessante seminario per “conoscere il fenomeno delle mafie sul web” al fine di “combatterle e prevenirle, con un occhio particolare ai trend social più popolari tra le nuove generazioni”. Titolo dell’appuntamento “Mafie Social Club. Come combattere le trappole della rete”.
Sono intervenuti Daniela Marcone, dell’ufficio di presidenza di Libera, Nicola Petruzzelli, direttore dell’Istituto Penale per Minorenni “N. Fornelli” di Bari, Marcello Ravveduto, docente dell’Università di Salerno e autore di diversi saggi sul rapporto tra immaginario collettivo e fenomeni mafiosi e Giuseppe La Porta, vicepresidente della Consulta Provinciale per la Legalità di Foggia. Moderatrice la giornalista Annalisa Graziano.
Impegno in prima linea per la Consulta Provinciale per la Legalità
All’iniziativa, organizzata nell’ambito delle attività della Consulta Provinciale per la Legalità, sono intervenuti per brevi saluti Giuseppe Nobiletti, presidente della Provincia di Foggia, Sante Levante, direttore del Teatro Pubblico Pugliese, Irene Sasso, vicepresidente della Fondazione dei Monti Uniti di Foggia e Roberto Lavanna, direttore del Csv Foggia.
Nel corso della serata è stato presentato il video musicale “Guaglione” del cantautore foggiano Giovanni D’Angelo, firmato dalla nota casa di produzione Cattleya Maestro. Il testo della canzone, firmato dallo stesso D’Angelo e da Vito Coccia e prodotto da Magic Music, ha ribaltato gli stereotipi e alcuni messaggi del genere neomelodico, nell’ambito di un più ampio progetto di carattere sociale sostenuto da Provincia di Foggia, Teatro Pubblico Pugliese, Fondazione dei Monti Uniti di Foggia e Csv Foggia. L’incontro a Palazzo Dogana è stato anticipato, in mattinata, da un appuntamento organizzato presso l’IPSIA “Pacinotti” di Foggia, riservato a studenti e docenti.
L’analisi di Ravveduto
“La nuova frontiera è l’uso della trap”
“I clan usano i social come qualsiasi altra persona. Non appartengono ad un mondo a parte”. Lo ha detto ai microfoni de l’Immediato il professore Ravveduto. “I social – ha aggiunto – consentono di costruire un’area di consenso e influenza rispetto al loro vissuto. Abbiamo per la prima volta un’auto rappresentazione di quel mondo. Le mafie oggi costruiscono la percezione di ciò che rappresentano. TikTok in particolare ha un facile utilizzo, anche anonimo. Si può usare senza iscrizione ed è performante grazie a challenge e trend che ti fanno entrare nel virale”.
Poi c’è l’utilizzo della musica che non è più soltanto neomelodica: “Il neomelodico resiste ma la nuova frontiera è legata all’uso della trap. Il neomelodico racconta il mondo sentimentale della criminalità mentre la trap racconta il contesto sociale. Due mondi che si stanno integrando”.
“Il territorio virtuale come se fosse una piazza di spaccio”
TikTok non passa di certo inosservato alla mafia foggiana. “Siamo riusciti a ricostruire, attraverso un profilo, la cerchia di consenso che si genera attorno alla batteria Moretti. Questo clan, come molti altri, agisce come se si trovasse in un territorio fisico. Loro hanno sempre più bisogno di controllare questo territorio virtuale come se fosse la piazza di spaccio o il luogo dove chiedere il pizzo. Lì si crea un contesto relazionale in cui la batteria è in grado di influenzare le opinioni della rete relazionale che si consolida ed espande nel virtuale”.
Durante il seminario, Ravveduto ha mostrato vari esempi di utilizzo di TikTok da parte della mafia italiana. A Napoli il giovane Massimiliano Esposito Junior, figlio di un boss di Bagnoli, si fece addirittura filmare mentre veniva arrestato. Sul social venne pubblicato un video in bianco e nero che ritraeva Esposito che con sguardo fiero si faceva ammanettare dai poliziotti. L’esperienza in carcere è una medaglia da appuntarsi al petto nel mondo della criminalità.
I minori a rischio devianza
Petruzzelli ha ricordato le sue esperienze da direttore in diversi penitenziari italiani fino al “Fornelli”, carcere minorile della sua Bari: “L’anno scorso solo per Foggia avevo 5 omicidi riguardanti minorenni. Stamattina (ieri, ndr) due tentati omicidi. Sono 38 anni che navigo tra tribunali e carceri. Dobbiamo riappropriarci della responsabilità sui nostri figli ma anche sui minori di prossimità che ci capita di incontrare nella vita”. Poi ha posto due quesiti: “Ce ne frega davvero dei minori a rischio devianza? Ci siamo mai sporcati le mani al Candelaro di Foggia o al rione Fantasia di San Severo? Il problema sono coloro che hanno preso le redini dei vari Rizzi o Li Bergolis. Edilizia, trasformazione di prodotti alimentari, investimenti che questa gente realizza con i proventi illeciti. C’è ancora una piovra che si infiltra. Nel Foggiano la mafia è sempre esistita, lo dicono anche i report semestrali della Dia che nessuno legge”.