Una sentenza di 128 pagine ricostruisce il femminicidio di Filomena Bruno, accoltellata a morte da Cristoforo Aghilar il 28 ottobre 2019 ad Orta Nova. Nei mesi scorsi, l’imputato, 40 anni, è stato condannato in primo grado all’ergastolo con isolamento diurno per la durata di 10 mesi. Verdetto emesso dalla Corte d’Assise del Tribunale di Foggia.
La vittima venne uccisa con un coltello da sub sull’uscio del suo appartamento di via Diaz, mentre si accingeva ad entrare in casa in compagnia della madre, quest’ultima testimone oculare. L’assassino si era intrufolato nell’abitazione precedentemente e, nell’attesa, trovò anche il tempo per radersi la barba. Poi, una volta giunta la donna, Aghilar le si scagliò contro urlando “ti ammazzo” ed infliggendo le coltellate mortali.
L’uomo provò ad uccidere l’ex suocera già due giorni prima in un bar di Orta Nova puntandole contro una pistola, ma l’arma si inceppò.
Aghilar fu catturato dai carabinieri, ma il 9 marzo 2020 riuscì a fuggire dal carcere di Foggia durante l’evasione di massa di 72 detenuti. Infine, venne definitivamente arrestato dopo circa cinque mesi di latitanza in un casolare di Minervino Murge dopo un’imponente attività di ricerca.
L’imputato è stato ritenuto colpevole non solo di omicidio e tentato omicidio, ma anche responsabile di aver minacciato e molestato i figli della vittima attraverso condotte reiterate, a tal punto da cagionare in loro un perdurante e grave stato d’ansia e paura.
Tra le sue vittime, infatti, c’era soprattutto la figlia di Filomena Bruno, costretta da Aghilar a trasferirsi con lui in Germania per un breve periodo di tempo.
Durante le fasi processuali, la ragazza, rappresentata con i familiari dall’avvocato Michele Sodrio, “ha precisato – si legge nella sentenza – che i primi giorni in Germania li avevano trascorsi in un albergo a Monaco di Baviera (il cui conto era stato pagato dall’imputato), per poi trasferirsi in un’abitazione in un paesino vicino (a Peisseberg), grazie all’aiuto fornito da alcuni conoscenti di Aghilar. Una settimana dopo il loro arrivo, l’imputato aveva trovato un impiego come muratore presso una ditta della zona e, ogni giorno, la ragazza lo accompagnava sul posto di lavoro con un’auto poiché l’imputato non aveva la patente di guida”.
Stando alla ricostruzione dei giudici, l’imputato “aveva trovato un lavoro anche per la ragazza”. Quest’ultima ha poi riferito che, “una volta in Germania, l’imputato aveva preteso che lei si comportasse come se fosse la sua fidanzata e che, per sua scelta, uscivano tutte le sere, così da evitare di rimanere da sola con lui in casa. Benché costretta, inoltre, lo accompagnava volentieri a lavoro tutte le mattine, così da essere libera di poter parlare con la madre”.
La giovane ha riferito di aver confidato al genitore di essere stata “costretta a partire – per salvaguardare l’incolumità dei suoi cari – soltanto quando era già in Germania”. “Tu l’unica chance che hai è di venire con me in Germania, altrimenti te li tolgo direttamente davanti”… “Tra un’ora ti faccio vedere come finisce tutto tra noi. E tu con la tua famiglia e tutta la razza tua”. Questi alcuni dei messaggi minacciosi di Aghilar.
La ragazza raccontò la verità alla madre “per telefono mentre era in bagno, dove, fingendo di lavarsi, aveva fatto scorrere l’acqua della doccia per non essere sentita dall’imputato. Prima di rivelare la verità alla madre – ricordano ancora i giudici nella sentenza -, Aghilar le aveva imposto di mentire circa la loro reale posizione, obbligandola a dire che si trovavano in Belgio, così da depistare eventuali ricerche anche delle forze dell’ordine”.

Dopo questo breve calvario in terra tedesca, la giovane scappò: “La fuga era avvenuta dopo circa venti giorni dall’arrivo in Germania, un lasso di tempo ritenuto dalla ragazza necessario per osservare tutte le abitudini di Aghilar ed evitare che costui potesse sorprenderla tornando dal lavoro”.
Parte da qui l’escalation criminale culminata con l’uccisione dell’ex suocera. Aghilar iniziò a tempestare la ragazza di chiamate e, non riuscendo a raggiungerla telefonicamente, contattò e minacciò i suoi familiari.
“La giovane donna, nel descrivere i giorni terribili che precedono l’omicidio della madre – riporta ancora la sentenza -, ha involontariamente fornito il movente che ha scatenato, a giudizio della Corte, l’ira furibonda e la rabbia di Aghilar: la ragazza ha ammesso, infatti, di averlo ingannato, di avergli raccontato frottole sulla sua reale posizione, con il chiaro intento di scongiurare che costui tornasse in Italia per vendicarsi. L’inganno, cui è stata evidentemente complice anche la madre, era volto a prendere tempo, considerato che Aghilar aveva preannunciato innumerevoli volte che sarebbe tornato per uccidere la sua famiglia e per togliere la vita a sua madre”.
La giovane “ha ricordato perfettamente e ha riportato pedissequamente in dibattimento gli ultimi ‘avvertimenti’ telefonici dell’imputato a seguito della sua fuga: ‘Put****, torna, devi tornare qui se no io vengo in Italia e uccido la tua famiglia’; ‘Uccido te e tutta la famiglia, tua madre muore, prepara il funerale’; ‘Indovina, indovinello, mi sto organizzando per tornare a Foggia e per uccidere tua madre’, precisando di averli inoltrati alla madre per allertarla”. Purtroppo fu tutto inutile. (In foto, Aghilar; nel riquadro, la vittima)