Colpo letale alla mafia di Lucera nel processo antimafia “Friends” contro le organizzazioni criminali lucerine e garganiche. In Appello, secondo grado di giudizio, i giudici di Bari, attraverso il rito abbreviato, hanno confermato 14 anni di reclusione per Alfredo Papa, 65enne boss del centro federiciano, capo storico del clan Bayan-Papa-Ricci. Inflitte pene anche a Urbano Petito, classe 1954 (5 anni di reclusione) e Antonio Valerio Pietrosanto, classe 1968 (5 anni e 4 mesi). Rideterminata, invece, la pena nei confronti di Francesco Antonio Coccia, 5 anni e 6 mesi di reclusione e Francesco Ricci, 5 anni, un mese e 10 giorni. Per questi ultimi due si è trattato di un leggero sconto rispetto al primo grado di giudizio. Tra i condannati c’è anche un montanaro, Libero Lombani, 36 anni, al quale sono stati comminati 7 anni e 4 mesi di reclusione. Quest’ultimo sarebbe legato al potente clan garganico Li Bergolis-Miucci-Lombardone guidato dal boss Enzo Miucci detto “U’ Criatur”, “Renzo” o “Renzino”, quest’ultimo a processo sempre in “Friends”, ma con rito ordinario, insieme al suo braccio destro Matteo Pettinicchio.

La “cupola” di Lucera è stata riconosciuta colpevole di aver costituito un’organizzazione dedita all’acquisto, alla detenzione e alla cessione di sostanze stupefacenti di vario tipo, tra cui marijuana, hashish e cocaina. Lombani, invece, è ritenuto responsabile per essersi associato all’organizzazione armata dedita all’acquisto, alla detenzione e alla cessione di sostanze stupefacenti di vario tipo, tra cui hashish e cocaina.
I condannati vennero arrestati nel 2019 insieme ad altre 16 persone, tra cui il boss Miucci, ritenuto responsabile, a vario titolo, dei reati di produzione, traffico e detenzione illecita di sostanze stupefacenti, associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti, ricettazione e detenzione illegale di armi.

I primi “ammiccamenti” tra lucerini e montanari sarebbero avvenuti in carcere grazie ad un periodo di detenzione in comune tra Miucci e Ricci. “Questo è il nipote di Ciccillo Li Bergolis“, diceva quest’ultimo ai suoi sodali. I due gruppi sarebbero poi entrati in affari grazie alla marea di contatti dei boss. I Li Bergolis-Miucci-Lombardone capaci di instaurare forti legami con le ‘ndrine calabresi, in particolare il clan Pesce-Bellocco, i Papa collegati ai camorristi del clan Cesarano. Il blitz dell’epoca, messo a segno da Dda, Guardia di Finanza e Polizia di Stato svelò una fitta rete di interessi nel mondo del narcotraffico con una vasta rete di “clienti pusher”, raggiunti anche in Molise e Abruzzo.
Nel frattempo, non sono finiti i guai giudiziari di “Renzino”. Il boss montanaro è stato nuovamente arrestato, pochi giorni fa, per droga e utilizzo di telefonini in carcere. È infatti emerso che avrebbe continuato a gestire il traffico di stupefacenti, soprattutto per l’area di Vieste, anche dal penitenziario di Terni dove era ristretto. Oggi, invece, si trova nel carcere di Palermo. Nel recente interrogatorio di garanzia si è avvalso della facoltà di non rispondere.
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