Pizzo a Foggia, condannati i “picciotti” del clan Moretti. La vittima minacciata anche con colpi di pistola

Inflitti 20 anni di carcere a Perdonò, Bernardo e Carella per le minacce alla vittima. “Mi dicevano che dovevo cacciare i soldi”

6 anni e 8 mesi a testa a Giuseppe Perdonò, 35enne detto “Scarafone”, Fabio Bernardo, 32enne e Andrea Carella, 26enne, colpevoli di aver chiesto un pizzo di 2.500 euro ad un piccolo imprenditore foggiano bersaglio anche di minacce e colpi di pistola contro la propria abitazione. Si è concluso così il processo di primo grado con rito abbreviato (sconto di un terzo della pena) ai “picciotti” del clan Moretti. La decisione è giunta due giorni fa davanti ai giudici del Tribunale di Bari, gup Ferraro. Gli imputati sono stati condannati per tentata estorsione ma anche per porto e detenzione di armi e danneggiamento.

Ha retto l’aggravante mafiosa così come prospettato dalla pm della Dda, Bruna Manganelli che aveva chiesto condanne sensibilmente superiori (7 anni e 4 mesi). Secondo la magistrata, gli imputati sarebbero fedeli sodali del boss al 41bis Pasquale Moretti detto “il porchetto”, una vicinanza emersa anche da foto sui social, e del figlio Rocco junior, condannato pochi mesi fa a 10 anni di carcere nel processo di primo grado “Decimabis” (al padre inflitti 16 anni). I due sono figlio e nipote del super boss Rocco “il porco”. La vittima non si è costituita parte civile nel processo.

Secondo l’impianto accusatorio, Bernardo e Carella, nel mese di gennaio 2022, avvicinarono l’imprenditore nei pressi dell’abitazione di quest’ultimo. “Carella mi disse che al telefono in video chiamata c’era Rocco Moretti, figlio di Pasquale, che voleva parlarmi – le parole della vittima riportate nelle carte dell’inchiesta -. Io scostai il telefono e dissi che non lo conoscevo e non volevo parlare con lui. In viva voce sentivo la persona da loro chiamata Rocco Moretti che mi diceva che dovevo cacciare i soldi. Anche Bernardo e Carella continuavano a dire che dovevo cacciare i soldi. Io ribattevo ai due che non avevo soldi da dare a nessuno. I due innervositi si allontanavano a bordo dello scooter con il quale erano venuti dicendo che adesso dovevo aspettarmi dei dispetti. Non ho alcun debito né con queste persone né tanto meno con altri. Ribadisco che non sono persone che io frequento. Voglio solo aggiungere che ho timore per la mia incolumità e per quella dei miei familiari”.

Al servizio dei boss 

Per la tentata estorsione all’imprenditore vennero arrestati – ed ora condannati – Perdonò (noto per il video di Capodanno degli “auguri” alla malavita), Bernardo e Carella; i primi due in carcere, il terzo ai domiciliari. “Perdonò – riportano le carte dell’inchiesta – è il nipote di Massimo Perdonò nato a Foggia nel 1977, quest’ultimo uno dei killer della batteria mafiosa Moretti-Lanza-Pellegrino, sposato con una nipote del boss indiscusso della locale criminalità organizzata, Rocco Moretti“.

“Carella – si legge ancora -, durante il periodo in cui Pasquale Moretti era libero, di sovente si accompagnava con quest’ultimo”. Lo dimostrano anche alcune immagini postate dal giovane sui social network.

“Inoltre, tanto Carella che Bernardo, in sede di richiesta estorsiva ai danni dell’imprenditore riferivano alla vittima che Rocco jr voleva parlargli tramite video-chiamata, evidenziando nella circostanza l’appartenenza alla consorteria mafiosa”.

A sinistra, la pm Manganelli; a destra, Giuseppe Perdonò, Pasquale Moretti e Andrea Carella

Relativamente alla tentata estorsione all’autolavaggio, gli inquirenti scrivono che Bernardo contattò Perdonò “al fine di avvisarlo di quanto stava accadendo (Bernando: ‘oh quello è fuori… hanno chiamato a quello hanno chiamato… pingone non devi fare sempre lo stupido Giuseppe’)“.

In seguito a tale avviso, Perdonò chiese “al proprio interlocutore se la polizia avesse trovato fori di proiettile in corrispondenza della serranda del box della vittima, in tal maniera dimostrando, nonostante sia ristretto agli arresti domiciliari, di essere perfettamente a conoscenza dell’atto intimidatorio posto in essere nei confronti di quest’ultimo”.

La chiamata si concluse con la richiesta di Perdonò a Bernardo “di riuscire a parlare con la vittima (‘Ma tu mo riesci ad acchiapparlo?’). Tale richiesta fatta da Perdonò – scrivono ancora gli inquirenti – deve ovviamente essere letta alla luce del tentativo di estorsione perpetrato nei confronti della vittima. Riuscire a parlare con l’imprenditore deve essere necessariamente interpretato come il tentativo di scongiurare denunce a proprio carico, tanto con riferimento all’atto intimidatorio, quanto in relazione al tentativo estorsivo”.

“Nel corso della successiva chiamata voip, effettuata pochi minuti dopo la precedente, Perdonò chiese a Bernardo se fosse stato l’imprenditore a chiamare la polizia (‘…li ha chiamati lui allora?…’), e Bernardo rispose che, secondo lui, erano state altre persone (Bernardo: ‘noooo li hanno chiamati i cristiani che ne so…’). Ciononostante, Perdonò ribadì la necessità di dover mandare a chiamare la vittima, al fine di scongiurare possibili denunce da parte della stessa (Perdonò: ‘comunque adesso si deve mandare a chiamare’)“.

Nel corso della stessa conversazione, Bernardo riferì di aver guardato con fare intimidatorio l’imprenditore, al fine di fargli intendere di non dover collaborare con la polizia (Bernardo: ‘eh mo stava lui avanti… io l’ho guardato storto’). 

Con tale affermazione, si evidenzia, a parere degli inquirenti, “il metodo mafioso con il quale gli indagati si assicurano, mediante l’instaurazione di un clima di omertà, la mancata collaborazione delle vittime e conseguentemente l’impunità”.

I timori di essere arrestati

Bernardo, a bordo di motociclo incontrò Perdonò, Carella e altra persona riferendo dell’intervento della polizia (Bernardo: ‘è andata la polizia a casa… è andata la polizia a casa mo vengo’). A riprova del suo pieno coinvolgimento, Carella ritenendo che di lì a breve gli agenti lo avrebbero raggiunto per addebitargli gli episodi delittuosi affermò: ‘mi hanno arrestato’. Poi rivolgendosi a Perdonò: ‘mo vengono pure da te’. 

E infatti Perdonò, nel corso della conversazione in cui Andrea Carella più volte affermava che di lì a breve sarebbe stato arrestato: “Stanno arrestando già Andrea mo’ mi vengono a prendere pure a me’, spiegando ad uno dei presenti non coinvolto nella vicenda, anche il motivo “per il fatto di omissis“.

Gli inquirenti scrivono ancora: “Carella, proseguendo nelle sue affermazioni auto ed etero accusatorie, riferisce ai sodali che si sarebbero rivisti in questura (Carella: ‘mo ci separiamo poi ci vediamo in questura tanto ci vediamo in questura’). Nella circostanza, Bernardo consiglia a Carella di incominciare a chiamare l’avvocato, e di seguire il suo consiglio di non presentarsi alla perquisizione a suo carico per la possibilità che l’esame dello stub possa essere positivo”.

Carella preparava la vendetta

“Carella – si legge nelle carte dell’accusa -, ipotizzando che l’intervento della polizia sia conseguito alla denuncia dell’imprenditore, in quanto non solo hanno effettuato il sopralluogo ma si sono recati tanto da lui che da Bernardo, circostanza che solo la vittima avrebbe potuto ipotizzare in ragione del tentativo di estorsione da loro precedentemente perpetrato, manifesta, coerentemente con le logiche criminali tipiche della fenomenologia mafiosa, le proprie intenzioni di vendetta nei confronti di quest’ultimo, nonché la volontà di fare in modo tale che la vittima ritratti. (Carella: ‘ma lui ha denunciato allora… mo a incomprensibile… a lei… mo la devo uccidere a incomprensibile… a lei mo vi faccio vedere io… gli dico vai dall’amico tuo e facci ritirare tutto coso’)”. Propositi di vendetta falliti grazie al provvidenziale intervento di Dda e Polizia di Stato che assicurarono i tre alla giustizia.

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