Dal summit di mafia all’abbandono più totale. Abbiamo fatto visita all’Hotel Florio sulla strada tra Foggia e San Severo dove l’enorme struttura alberghiera svetta sulla pianura del Tavoliere. Alle sue spalle, invece, si scorge il promontorio del Gargano in tutta la sua magnificenza. Al centro del paesaggio c’è lui, il Florio che al suo interno conserva ancora intatto lo stile, ormai retrò, degli alberghi degli anni ’70. La reception è ancora lì con i numeri delle stanze, dalla 110 alla 369. Poco distante spicca una cartina della provincia di Foggia con indicate solo alcune località: c’è il capoluogo, poi Manfredonia, Vieste, Peschici, Rodi Garganico, San Giovanni Rotondo e San Severo. Ci sono anche la Foresta Umbra e le Isole Tremiti. Infine, una linea tratteggiata indica il percorso di una barca tra Manfredonia e l’arcipelago. Il resto è uno scenario da film post apocalittico. Le camere dell’hotel piccole e decadenti, con i resti di sedie e tavoli, sono ormai meta di rondini e piccioni. Viene da chiedersi perché una struttura così imponente, situata in una posizione strategica, non venga convertita in una location utile per tutta la Capitanata.
Cutolo, la Scu e l’ascesa della “Società Foggiana”
Il Florio è ormai noto soltanto per il summit di mafia del 5 gennaio 1979 convocato da Raffaele Cutolo in persona, boss della Nco, la nuova camorra organizzata. A conferma dell’importanza accreditata da Cutolo alla componente malavitosa foggiana, fu proprio la terra di Capitanata ad ospitare in una stanza dell’albergo il summit che sancì ufficialmente la nascita della Nuova Camorra Pugliese, all’interno della quale un ruolo di primo piano venne immediatamente assunto proprio da alcuni criminali foggiani, Giosuè Rizzi e Giuseppe Iannelli.
Ma il progetto di Cutolo naufragò in pochi anni. Il fatto di dover corrispondere una parte cospicua dei profitti delle attività illecite ai vertici della camorra non andò giù ai boss di Foggia, poco propensi a ricoprire un ruolo da sottoposti rispetto al grande capo Cutolo. Inoltre, proprio in quegli anni, il camorrista entrò in crisi nella sua stessa terra, in Campania, dove il suo clan perse pezzi e potere. La pietra tombale sulle “ambizioni” di Cutolo fu posata nel novembre del 1983 quando un “cutoliano di rispetto” come Giuseppe Sciorio fu ucciso alla periferia di Foggia mentre era alla guida della sua Mercedes. Uno dei tanti omicidi irrisolti nella storia della malavita dauna. Per quel fatto di cronaca finirono sotto processo alcuni napoletani e un foggiano, tutti poi assolti. Fu un omicidio ascrivibile alla guerra di camorra oppure ordito da foggiani che non vedevano di buon occhio la presenza in città dell’uomo di Cutolo? Forse la verità non verrà mai a galla.
Crollato il castello del “professore” di Ottaviano, nel decennio successivo l’emergente e ambiziosa delinquenza foggiana si schierò al fianco di Giuseppe Rogoli, aderendo al progetto di emancipazione della criminalità organizzata pugliese dalla camorra napoletana che, anche grazie all’appoggio della ‘ndrangheta, culminò nella costituzione della Sacra Corona Unita: un’organizzazione criminale nata all’interno delle carceri pugliesi a partire dai primi anni ottanta, ma che venne riconosciuta come vera e propria associazione mafiosa solo molti anni dopo dalla Corte di Appello di Lecce il 26 marzo 1990. Nel progetto del “padre fondatore” Rogoli, con la creazione della Sacra Corona Unita, il territorio pugliese sarebbe stato suddiviso su base provinciale: la provincia di Foggia sarebbe dovuta diventare una costola della nuova associazione mafiosa, nelle mani dei “responsabili” Giosuè Rizzi, Giuseppe Iannelli, Cosimo Cappellari e Giuseppe Caputo. Ma anche questo ulteriore tentativo di annessione della emergente criminalità organizzata foggiana (dopo quello compiuto da Cutolo) ad altre più vaste organizzazioni mafiose fallì in quanto la Sacra Corona Unita, a differenza di quanto era avvenuto nelle province di Lecce e di Brindisi, non riuscì mai ad imporsi in terra di Capitanata.
Il clan facente capo a Pinuccio e Nicola Laviano, che in qualche modo costituiva l’emblema di quella criminalità che si considerava ancorata ai vecchi padri fondatori della S.C.U., dovette cedere il passo alla fazione emergente capeggiata da Rocco Moretti, soprannominato “Il porco”, e da Gerardo Agnelli, detto “Professore”, ai quali si affiancò lo stesso Giosuè Rizzi, dopo la sua scarcerazione avvenuta nel 1986. Fu una strage eclatante, degna della Chicago degli anni venti, passata alla storia come “la strage del Bacardi”, a mettere definitivamente fine alle velleità espansionistiche dei Laviano e a sancire l’ascesa di personaggi come Rocco Moretti, Vito Bruno Lanza, Mario Francavilla che, insieme allo stesso Giosuè Rizzi (che il killer tranese Salvatore Annacondia, detto “Manomozza” soprannominava “il Papa di Foggia”), diedero vita alla nuova consorteria criminale denominata “Società Foggiana”, destinata, qualche anno dopo, ad essere giudizialmente riconosciuta come vera e propria associazione di tipo mafioso. All’inizio degli anni novanta, a seguito della detenzione di Giosuè Rizzi e Rocco Moretti, un ruolo di primo piano all’interno dell’organizzazione foggiana venne assunto da Agnelli e da Michele Mansueto, detto Lillino: ma si trattò di un equilibrio di durata assai breve. Nel giugno del 1990 Agnelli venne ucciso, qualche settimana dopo Mansueto rimase gravemente ferito in un attentato di mafia: iniziò così l’ascesa di Roberto Sinesi, uno dei boss attualmente ai vertici della “Società” insieme ai fratelli Francavilla, allo stesso Rocco Moretti e allo “zoppo” Federico Trisciuoglio, morto recentemente dopo lunga malattia, tutti duramente colpiti dalle operazioni antimafia messe a segno da DDA e forze di polizia soprattutto nell’ultimo decennio.
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