Ieri pomeriggio, l’arcivescovo padre Franco Moscone, appena rientrato da un breve periodo di riposo nella sua terra, ha incontrato, sia gli anziani ospiti della casa ‘Stella Maris’ di Manfredonia che i loro familiari, celebrando con loro e per loro la liturgia eucaristica. Tale visita è stata voluta per esprimere la vicinanza e la solidarietà del Pastore, della Comunità ecclesiale e dell’intera città, alle persone ospiti della struttura, in modo particolare alle vittime dei recenti abusi e degli atti di violenza di cui ha parlato la cronaca sia locale che nazionale nei giorni scorsi, ma ha anche avuto come obiettivo il dare sostegno psicologico e spirituale alle famiglie che, invece di vedere i propri cari al centro delle cure e delle attenzioni del personale socio-sanitario della struttura, li ha visti da alcuni di essi, maltrattati e vilipesi.
“Certo – ha sottolineato il nostro Pastore durante l’omelia – anche se non bisogna generalizzare né fare di tutta un’erba un fascio, resta il fatto che tutto ciò non sarebbe dovuto accadere. Spero, come sono convinto, che si sia trattato di un fatto parziale e non di un fatto di sistema. Lo scopo di tali strutture – ha continuato – è quello di offrire servizi alla persona, adattando il proprio operato sia all’età che alle condizioni di salute degli ospiti, nel rispetto della dignità di ciascuno e dei diritti della persona umana, specie se in situazioni di grave malattia, di fragilità e di dolore. Prendersi cura della singola persona è prendersi cura dell’intera comunità”.
Il vescovo ha denunciato poi tutti quei meccanismi perversi che possono indurre una struttura adibita al sollievo della sofferenza, a speculare sul dolore e sulle fragilità altrui, in nome del profitto, omettendo di migliorare la qualità della vita di quanti trovandosi a trascorrere gli ultimi anni della loro esistenza in una struttura e fidandosi del personale preposto, si aspettano di ricevere le dovute attenzioni e cure. Non si ha a che fare con dei numeri, ma con delle persone che hanno un volto e un nome, storie da raccontare e vissuti da tramandare.
“Bisogna superare – ha continuato padre Franco – lo schema costi/benefici, e non ridurre il servizio agli anziani alle sole logiche di mercato. Le strutture socio-sanitarie, prima che come aziende, vanno viste come delle comunità dove ci si prende cura delle persone fragili, anteponendo le loro esigenze a qualsiasi altra istanza. A un’economia basata sul solo profitto, bisogna sostituire un’economia del servizio e della solidarietà, un’economa del bene comune. E questo proprio perché al centro di tutto il sistema di cura deve stare la persona, colta e valorizzata nella sua unicità e irripetibilità. Il vescovo ha inoltre esortato a porre maggiore attenzione nel reclutamento del personale adibito a tali servizi, che, oltre a competenze di tipo socio-sanitarie, deve possedere grande sensibilità umana, delicatezza, empatia e grande capacità di prossimità e di tenerezza. Non tutti possono fare questo tipo lavoro, visto che esso richiede una grande capacità di fare proprio il dolore altrui”.
Ai parenti e ai familiari ha espresso poi tutta la solidarietà della Chiesa che in questo momento, come tutta la città, si sente scossa e ferita, auspicando una maggiore collaborazione tra famiglie e operatori socio-sanitari, per una solerte vigilanza, al fine di prevenire in futuro casi brutali come quelli accaduti. Ha poi invitato le famiglie a collaborare e a non cedere alla tentazione di delegare: “Vigilare , infatti, è un impegno che riguarda tutti. Siamo tutti sentinelle gli uni degli altri”.
Ricordando le brutalità commesse, ha sottolineato quindi che “Chi ferisce un uomo, specie se fragile, è come se ferisse Dio. E chi tocca gli anziani, tocca tutti noi. Chi abusa di loro fa violenza all’intera comunità. E non basta indignarsi sui social. È necessario vigilare e impegnarsi, perché ciascuno faccia bene il proprio lavoro con onestà e responsabilità, oltre che con professionalità e deontologia”.
Quindi ha incoraggiato la Direzione a fare anzitutto chiarezza al proprio interno e a rialzarsi, superando questo momento di oscuramento. E per il futuro, ciascuno deve fare fino in fondo la propria parte, a cominciare da chi dirige fino ad arrivare a chi, stando a diretto contatto con queste persone indifese, opera in prima linea, sapendo che il loro modo di porsi può incidere positivamente o negativamente sul tipo di relazioni che si intrattengono. E rivolgendosi infine direttamene agli anziani, ha detto loro: “Voi siete una biblioteca vivente. Un patrimonio e una risorsa per l’intera comunità. Non sentitevi un peso, ma un ponte, non un’eredità da dilapidare, ma un’eredità su cui reinvestire. Voi siete la radice e il tronco, noi i rami e le foglie”. E agli operatori della Casa, ha detto che “siamo tutti chiamati a tenerci cari gli anziani, proteggerli e difenderli, allo scopo di rendere questo ultimo tratto della loro vita il meno doloroso e traumatico possibile e sappiate – ha concluso – che il Cristo creduto dai credenti, è presente nei malati e nei sofferenti allo stesso modo che nel sacramento del pane e del vino che sono su questo altare. E chiunque si prende cura di un fratello che è in situazione di bisogno, in fondo, senza saperlo soccorre lo stesso Cristo, il quale alla fine dei tempo lo accoglierà nella sua casa”.
Insomma, “ogni persona è un tesoro prezioso da custodire. Sempre! Anche quando questo tesoro si nasconde in un vaso fragile, fatto di rughe e di piccole crepe”. Dopo la messa, l’arcivescovo, accompagnato dai sacerdoti della Casa, ha fatto il giro delle stanze per passare a salutare uno per uno gli ospiti, e con la mano nella mano si è fermato per ascoltare e consolare, e per ribadire che non si è soli e soprattutto che quello che è accaduto, mai più dovrà accadere. E che ciò sia impegno di tutti. Nessuno escluso!