Professor Giuseppe Indolfi, sappiamo qualcosa in più della misteriosa epatite che colpisce i bambini?
“Abbiamo avuto alcune notizie di quello che sta succedendo in Inghilterra. Da gennaio sono stati segnalati 108 casi dei quali 8 hanno avuto necessità di trapianto di fegato, una percentuale preoccupante. Nel 77% dei casi era stato identificato un adenovirus, ma siamo tutti ancora molto cauti nell’attribuire una responsabilità patogenica a questo virus”.
In Inghilterra c’è già una situazione di emergenza.
“Il sistema di monitoraggio inglese ha già dato tre alert in un mese sull’aumento di casi rispetto a quelli attesi. E il 10% di casi costretto al trapianto preoccupa”.
Se si tratta di un virus è possibile che sia arrivato in Italia?
“È possibile, ma in questo momento la situazione sembra tranquilla”.
Potrebbe anche non trattarsi di un virus?
“Non abbiamo una connessione effettiva tra uno specifico virus e il quadro della malattia. La percezione generale è che questa epatite acuta abbia a che fare con un agente infettivo che si comporta come un virus”.
E come si manifesta, quali sintomi dà?
“Stando a quello che è descritto dagli scienziati scozzesi, nella fase iniziale dà sintomi aspecifici come vomito, nausea, dolore addominale, diarrea e può comparire disappetenza e stanchezza. Mentre i segni clinici più diretti dell’epatite sono la colorazione gialla della cute e delle mucose”.
Viene la febbre?
“Non sembra essere un elemento caratterizzante”.
Che idea vi state facendo, lo collegate all’adenovirus?
“Questo perché nel 77% dei pazienti inglesi e nel 100% di quelli americani è stato identificato un adenovirus. Ma si tratta di un virus molto comune che colpisce tantissimi bambini nel periodo invernale, si manifesta con tosse, raffreddore e gastroenterite ma guarisce spontaneamente. Ci stupisce molto che questa malattia possa essere collegata all’adenovirus”.
È stata fatta un’ipotesi che sia una conseguenza del lockdown.
“Il Covid inteso come infezione acuta non sembra in alcun modo collegabile. Invece potrebbe collegarsi al lockdown che ha esposto a una minore esperienza immunologica i bambini che ora tornano ad avere contatti diretti e sono più suscettibili alle malattie che non hanno incontrato prima. È un oggetto di interesse e valutazione scientifica”.