I carabinieri del Raggruppamento Operativo Speciale hanno eseguito un’ordinanza di custodia cautelare, emessa il 9 aprile 2022 dal gip del Tribunale di Napoli, nei confronti di 57 indagati (per 36 la misura del carcere, per 16 gli arresti domiciliari e per 5 la misura del divieto temporaneo di esercitare attività d’impresa) poiché ritenuti gravemente indiziati, a vario titolo, di associazione mafiosa, estorsione, impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita, autoriciclaggio, fittizia intestazione di beni, corruzione, porto e detenzione illegale di armi da fuoco, ricettazione, favoreggiamento, reati aggravati dalla finalità di agevolare il clan Moccia. Contestualmente, il Gruppo d’Investigazione sulla Criminalità Organizzata della Guardia di Finanza di Napoli ha eseguito ulteriori 2 misure del divieto temporaneo di esercitare attività d’impresa e un decreto di sequestro preventivo d’urgenza di beni mobili, immobili e di quote societarie per un valore di circa 150 milioni di euro.
Politici pugliesi coinvolti
Il blitz coinvolge anche due politici pugliesi finiti ai domiciliari: si tratta – come riporta Repubblica – dell’ex assessore all’Ambiente del Comune di Lecce Andrea Guido (in carica con la giunta di centrodestra di Paolo Perrone e attualmente consigliere comunale di opposizione) e di Pasquale Finocchio, ex consigliere comunale barese e vicepresidente del Consiglio comunale di Forza Italia poi passato al gruppo misto, che ha concluso l’esperienza politica attiva durante la precedente amministrazione, dopo cinque mandati in Consiglio comunale. Inoltre, tra gli indagati compare anche il nome di Roberto Falco, 52enne barese già segretario provinciale di Forza Nuova, pochi mesi fa indagato e perquisito dalla Dda di Bari nell’ambito di un’inchiesta sulle manifestazioni di protesta contro le chiusure disposte dal Governo durante la pandemia. Falco – stando alla ricostruzione degli inquirenti napoletani – avrebbe aiutato l’ex consigliere comunale Finocchio a favorire “l’espansione imprenditoriale in territorio pugliese dell’azienda Soloil Italia”, attiva nel servizio di raccolta degli olii vegetali esausti, riconducibile a Francesco Di Sarno, imprenditore campano ritenuto “espressione imprenditoriale del clan Moccia”.
Finocchio, per favorire alcune società gestite dal clan, avrebbe cercato di aiutarle dal punto di vista burocratico, per esempio “facilitando il rilascio dell’Aua (Autorizzazione unica ambientale) da parte della Città metropolitana di Bari e da parte del Comune di Modugno e garantendo l’assenza di controlli amministrativi che avrebbero potuto danneggiare gli interessi del sodalizio afragolese”. A Finocchio è poi contestato di aver fatto “pressioni su esponenti politici locali (come il sindaco del Comune di Casarano, in provincia di Lecce) ovvero talvolta proponendo e talaltra imponendo, sempre con metodo mafioso, l’azienda del Di Sarno presso terze società”.
Guido – come riporta ancora Repubblica – risponde di corruzione aggravata dal metodo mafioso per un presunto intreccio sull’asse Lecce-Afragola. Secondo quanto contestato nell’unico capo d’imputazione, l’attuale consigliere comunale dell’opposizione a Palazzo Carafa, tra aprile e agosto del 2017 – periodo in cui Guido ricopriva la carica di assessore – avrebbe ricevuto “indebitamente” 2mila e 500 euro, come anticipo di un importo complessivo pari a 5mila euro da Mario Salierno, Giuseppe D’Elia e Francesco Di Sarno. Soldi, secondo gli inquirenti partenopei, necessari perché l’allora assessore potesse affidare il servizio di raccolta dell’olio di origine alimentare esausto a Lecce e negli altri comuni dell’Aro Lecce 1 alle imprese riconducibili proprio ai Di Sarno, quest’ultimo ritenuto il braccio economico del clan Moccia. Un tentativo, secondo quanto contestato dal capo d’imputazione, di escludere dal servizio altre aziende, tra cui la Sappower Oil e la Monteco, che avevano gestito la raccolta presso l’isola ecologica del capoluogo salentino. Nonostante il progetto non sia mai andato a buon fine il presunto intreccio politico-mafioso è comunque confluito nell’ordinanza.
Gli ordini impartiti dai fratelli Moccia
L’indagine ha consentito di acquisire gravi indizi circa l’esistenza e operatività dell’organizzazione mafiosa, strutturata verticisticamente e organizzata su diversi livelli di comando e di competenza territoriale, della quale sono ritenuti capi i fratelli Angelo, Luigi e Antonio Moccia e il loro cognato Filippo Iazzetta, i quali, anche in stato detentivo e sebbene Angelo e Luigi si fossero da tempo trasferiti a Roma, avrebbero veicolato ordini agli affiliati, a vario livello a loro subordinati, anche promuovendo all’occorrenza specifici reati fine, consumati sia dai vari sottogruppi territoriali costituenti l’ala militare dell’organizzazione, sia da imprenditori attivi nel settore del recupero degli olii esausti di origine animale/vegetale di tipo alimentare e degli scarti di macellazione, nonché nei grandi appalti ferroviari e dell’alta velocità, cui avrebbero impartito direttive e fornito ingenti provviste derivanti dall’accumulazione illecita, nel tempo, di ingenti capitali.