Comanda chi sta fuori. Con i maggiori boss al 41bis, la “Società Foggiana” cerca di riannodare le fila con gli affiliati in libertà. L’attentato al pub Poseidon del 9 gennaio scorso farebbe emergere, il condizionale è d’obbligo, un tentativo del clan Trisciuoglio di riprendersi la scena. Per la bomba al locale sono stati fermati Federico Russo, 46 anni e suo figlio minorenne F.R., il primo accusato anche di tentata estorsione. Particolare non di poco conto, i due sono nipoti di Federico Trisciuoglio (foto sopra), 68 anni, detto “Enrichetto lo Zoppo” o “Polpetta”, boss storico della mafia foggiana, finito di recente al 41bis, carcere duro.
Nell’ultimo decennio, le estorsioni hanno rappresentato il principale affare delle batterie Sinesi-Francavilla e Moretti-Pellegrino-Lanza, ma la lunga detenzione dei capi avrebbe stravolto gli assetti. E solitamente il racket finisce sempre nelle mani di chi gode di un maggior numero di affiliati in libertà. Ecco allora che rientrano in campo i Trisciuoglio-Prencipe-Tolonese, indicati così dagli inquirenti nonostante l’uscita di scena di Salvatore “Piedeveloce” Prencipe, ormai fuori dal giro. A tenere le fila ci sarebbe la famiglia del boss Trisciuoglio, con Raffaele Tolonese (anche lui detenuto) in posizione più defilata.
A confermarlo anche le carte di una recente operazione antimafia contro il boss Trisciuoglio e i suoi picciotti. “È emerso in, maniera inequivocabile – riportano gli inquirenti -, che il gruppo Trisciuoglio-Prencipe-Tolonese, attualmente in auge in virtù della detenzione dei vertici delle altre batterie mafiose operanti in questo centro cittadino, gestisce pienamente le attività estorsive nei confronti di svariati imprenditori locali”.
Estorsioni e funerali
Seppure sotto processo per estorsione, figurano in libertà altri esponenti di rilievo del clan che potrebbero aver preso il controllo degli affari illeciti a Foggia, forti anche dell’alleanza con i manfredoniani e dei legami con pezzi deviati dello Stato, fattore che ha sempre caratterizzato il clan.
Estorsioni, ma anche racket dei funerali, un business sul quale i Trisciuoglio allungarono i tentacoli all’inizio degli anni 2000. Nota alle cronache l’operazione “Osiride” che svelò l’esistenza di un sistema consolidato di versamento del pizzo da parte delle agenzie funebri ai clan mafiosi della città. In “Osiride” venne fuori che Trisciuoglio e Sinesi estromisero dall’affare i Moretti, decisione che scatenò una delle guerre di mafia più violente mai viste a Foggia.
Il pentimento di Checchia
Il nome del boss Trisciuoglio è tornato prepotentemente nelle operazioni “Decimabis” e “Decimabis 2” del 2020, accusato di aver estorto il pizzo ad alcuni importanti imprenditori della città. Con “lo Zoppo” venne arrestato anche il 30enne Aldo Checchia, presunto esecutore materiale delle richieste estorsive. Checchia ha recentemente ammesso le sue colpe durante un’udienza in tribunale: “Ammetto il reato – ha riferito ai giudici -. Ho agito esclusivamente su incarico di Federico Trisciuoglio cui ero legato in quanto amico dei suoi figli già dall’anno 2012. Da Trisciuoglio partiva ogni iniziativa. Ma non ho niente a che fare con la mafia e non avrò mai più niente a che fare con nessuno di questi soggetti, nemmeno con Trisciuoglio. So che devo pagare per i miei errori, spero che la condanna non sia troppo alta. Quando uscirò dal carcere mi metterò a lavorare onestamente per mantenere la mia famiglia. Mi vergogno soprattutto per loro, che sono tutte persone perbene, e che ora stanno soffrendo per colpa mia”.