C’è anche la prova regina nel processo al boss di Manfredonia, Matteo Lombardi, ritenuto dagli inquirenti a capo del clan omonimo, recentemente rimasto orfano del suo storico “compare”, Pasquale Ricucci, ucciso l’11 novembre scorso a Macchia Libera, frazione di Monte Sant’Angelo. Proprio nella città dell’Arcangelo, Lombardi detto “A’ Carpnese” avrebbe ucciso Giuseppe Silvestri, quest’ultimo noto con il soprannome “l’Apicanese”.
Un fatto di sangue risalente al 21 marzo 2017 e rientrante nella faida garganica tra il clan dei montanari Li Bergolis-Miucci di cui Silvestri faceva parte e il gruppo di Lombardi. Oggi, in Corte d’Assise a Foggia, sono comparsi due carabinieri del Ris di Roma. Dopo l’ok del giudice Antonio Civita all’acquisizione degli elettroferogrammi (le analisi utili a mostrare il lavoro di recupero delle tracce sui reperti balistici che durante la scorsa udienza rischiavano di non essere ammesse), i militari hanno confermato la presenza del Dna di Lombardi sulle cartucce del fucile calibro 12 ritrovate sul luogo del delitto, strada panoramica di Monte Sant’Angelo.
“Il profilo genetico acquisito da Lombardi è sovrapponibile alle tracce della cartuccia ‘G’ – ha detto il maggiore dei Ris –. Un esito incontrovertibile”. Su sei cartucce trovate, il Dna è presente in maniera preponderante su quattro. Di queste, una in particolare, la “G” appunto, è entrata in contatto quasi esclusivamente con il boss manfredoniano. Ma l’imputato, stando alla ricostruzione tecnica del maggiore, sarebbe “il principale donatore di tutte e quattro le cartucce analizzate”.
Tracce di Lombardi sarebbero presenti per il 90 per cento del Dna rinvenuto sulla cartuccia “G”, 70 su “D” ed “F”, 50 sulla “B”. Il carabiniere ha evidenziato che sulla “G” sono presenti componenti di un unico soggetto (Lombardi), nelle altre emergono componenti misti. Tracce di uno o forse due soggetti ignoti. In buona sostanza, oltre a Lombardi, potrebbero essere entrate in contatto con quelle cartucce almeno altre due persone. Inoltre, i filmati della videosorveglianza immortalarono tre soggetti all’interno della Toyota Rav4 usata dai killer all’alba del 21 marzo 2017. Sono le stesse persone che armeggiarono le cartucce incriminate?
Al momento, Lombardi, a meno di ribaltoni, rischia una lunga condanna (sentenza entro l’estate): per chi ha indagato, quelle tracce sono certamente riconducibili all’imputato in quanto comparate con quelle già presenti nella banca dati del Ris. Gli avvocati difensori Santangelo e Schiavone hanno provato a smontare la tesi del pm della DDA, Cardinali, insinuando dubbi sulle procedure: non si conosce la tipologia della traccia, sangue? Sudore? Saliva? Forfora? Lombardi potrebbe essere entrato in contatto con quelle cartucce anche solo per un colpo di tosse. E quando sarebbe successo? Impossibile stabilire una finestra temporale. “Di certo il Dna sulle cartucce non lo ha portato la cicogna!”, ha tuonato il giudice Civita dopo l’ennesima domanda dell’avvocato Santangelo sulla questione. Anche il maresciallo del Ris, sentito a fine udienza, ha confermato quanto riferito in precedenza dal collega, specificando inoltre che “non ci fu alcuna possibilità di contaminazione dei reperti”. I prelievi avvennero grazie ad un tampone in fibre di nylon che assicura un lavoro pressoché ottimale. Ma per la difesa, la relazione del Ris è monca: “Inspiegabile – secondo i legali – non aver fatto ulteriori indagini per stabilire il materiale rinvenuto”.
Lombardi ha assistito al processo dal carcere di Voghera dove rimane detenuto. In Corte d’Assise era invece presente Antonio Zino, nel frattempo tornato in libertà, accusato di favoreggiamento. Secondo l’accusa, subito dopo l’omicidio, Lombardi e Zino, a bordo di un Renault Kangoo intestato al pregiudicato mattinatese, Gianluca Ciuffreda, si recarono ad un’asta di automobili a Lodi, in Lombardia, per crearsi un alibi. Nelle carte dell’inchiesta ci sono anche alcune intercettazioni captate dai carabinieri nell’autosalone “Ciuffreda Auto” alla presenza dei tre uomini. (In alto, Lombardi, Zino e Silvestri; sulla sfondo, l’udienza in Corte d’Assise a Foggia)