“Il nome Ferro Luigi le dice qualcosa?”. Così Giulio Treggiari, avvocato di Giovanni Caterino (presunto basista del clan Li Bergolis-Miucci), si è rivolto ad Arcangela Luciani e Antonio Luciani, rispettivamente vedova e papà di Luigi, ucciso con il fratello Aurelio il 9 agosto 2017 nei pressi della stazione dismessa di San Marco in Lamis. Quel giorno, i due contadini furono trucidati assieme al boss Mario Luciano Romito e al cognato di quest’ultimo, Matteo De Palma.
Stamattina l’udienza in Corte d’Assise a Foggia. Tra i testi era previsto anche un operaio indiano che avrebbe assistito ad alcuni momenti salienti della strage mentre era intento a raccogliere zucchine, ma l’uomo si è dato alla macchia e sarebbe rientrato in India.
Davanti al giudice sono dunque comparsi soltanto la Petrucci, il suocero Antonio e un agente della squadra mobile di Foggia, sentito per approfondire alcune intercettazioni. Treggiari ha puntato le sue attenzioni su Luigi Ferro, ritenuto dagli inquirenti un uomo di fiducia di Mario Luciano Romito, defunto boss di Manfredonia, principale obiettivo dei tre killer. “Ferro è un uomo di San Marco in Lamis – ha detto la vedova –. Se non sbaglio ha degli animali, forse mucche. Ha dei terreni sulla strada verso la Pedegarganica”.
“Gira voce che Romito si conoscesse con Ferro Luigi e che potesse essere lui la vittima dell’agguato”, ha incalzato Treggiari. “L’11 agosto, il giorno dei funerali, sapevo che l’obiettivo dell’agguato era un boss di Manfredonia – la risposta della donna –. Si diceva che mio marito e mio cognato Aurelio fossero stati scambiati per Luigi Ferro, quest’ultimo forse amico di Romito, non lo so. Per la questione del Fiorino. Ma non ricordo chi potrebbe avermelo detto”.
Il 79enne Antonio Luciani alla domanda su Ferro ha dichiarato: “Si, lo conosco, abbiamo i terreni, noi da questa parte e lui dall’altra, proprio al confine. Ha un Fiat Fiorino come quello che avevano i miei figli”.
Grazie al processo inizia a delinearsi la dinamica dell’agguato di sangue – soprattutto dopo la deposizione del testimone Antonio Pazienza – ma nessuno ha ancora chiesto se i killer fossero incappucciati al momento della sparatoria. Come rimane da chiarire il ruolo dei Luciani e di Luigi Ferro, quest’ultimo ritenuto dagli inquirenti storico sodale di Romito ed arrestato insieme al boss nell’operazione “Ariete” del 2016. Difficile pensare che il commando armato abbia scambiato i Luciani per Ferro, i primi quasi calvi, il secondo con i capelli increspati. In quanto professionisti del mestiere, gli assassini avevano tutto il tempo per verificare con calma un eventuale scambio di persona.
“L’azione fu rapida ma non maldestra, né frettolosa. Dopo aver sparato, con molta calma e senza correre, salirono sull’auto per allontanarsi in direzione Apricena”, le parole di Pazienza durante la scorsa udienza.
Prossimo appuntamento il 4 novembre quando sarà sentito in videoconferenza il collaboratore di giustizia, Carlo Magno, reo confesso dell’omicidio Tucci. Ai pm della DDA, Magno ha rivelato che Tucci avrebbe preso parte alla strage di San Marco. La deposizione dell’uomo, 62enne manfredoniano, in collegamento da una località protetta, è molto attesa.