Entra nel vivo il processo alla strage di San Marco in Lamis del 9 agosto 2017. In Corte d’Assise a Foggia Giovanni Caterino, il 39enne di Manfredonia ritenuto basista del commando armato. In aula gli avvocati della difesa, quelli delle parti civili e la pm della DDA, Luciana Silvestris. Primo dei testi ad essere ascoltato, Antonio Pazienza, imprenditore agricolo proprietario di un terreno poco distante dal luogo della strage. Emozionato, teso ma allo stesso tempo coraggioso, Pazienza ha risposto a tutte le domande poste dalla pm e dal legale di Caterino, l’avvocato Giulio Treggiari. Un racconto molto forte, d’impatto.
“Ero in casa con un amico a parlare della coltivazione di zucchine appena conclusa quando abbiamo sentito alcuni colpi. Abbiamo pensato fossero fuochi d’artificio e abbiamo continuato la conversazione. Ma poi ci sono state altre esplosioni e a quel punto siamo usciti. A quel punto ho visto che c’era una macchina dalla quale sono scese delle persone per fare fuoco. Erano tre, tutte armate. La macchina mi sembra fosse grigio metallizzato. Ma non vedevo a cosa sparassero. C’era la stazione davanti. L’obiettivo era coperto. Tutto è durato circa due minuti. Hanno agito con calma, senza movimenti maldestri, poi sono saliti nell’auto e sono andati via. Ricordo che c’era un Suv, forse un Hammer che era poco distante dalla macchina dei killer. Mi è rimasto impresso che nonostante le cunette era riuscito a fare inversione senza finire fuoristrada, andando via verso l’incrocio che porta a San Severo, San Giovanni Rotondo e Manfredonia”.
Con la voce rotta dalla tensione, Pazienza ha ricordato ogni passaggio di quella mattinata di sangue. “C’erano anche altre persone nei dintorni, alcuni dei quali presi dalla coltivazione delle zucchine. C’era anche un operaio che lavorava per me e che si trovava più vicino rispetto al luogo della strage”.
Una volta giunti sul posto, Pazienza e l’amico trovarono una scena straziante. I corpi dei contadini Aurelio e Luigi Luciani senza vita, uno dei quali riverso a terra faccia in giù, “con una grande macchia di sangue sulla schiena. L’altro senza vita in macchina. Solo qualche minuto più tardi ci siamo accorti che c’erano altre vittime (Mario Luciano Romito e il cognato Matteo De Palma, ndr). Io chiamai i carabinieri, il mio amico l’ambulanza. E ci sembrava strano che tardassero. Poi abbiamo capito che si erano fermati davanti alle prime due vittime”.
Ai cronisti all’esterno della Corte d’Assise, Pazienza ha detto poche parole, lasciando trasparire ancora molta emozione: “Non penso di essere un eroe”.