È giunta via mail la replica dei legali del 50enne Luigi Ferro al recente articolo de l’Immediato sulla strage di San Marco in Lamis. Gli avvocati parlano di “ricostruzioni fantasiose” e smentiscono che Ferro sia stato “braccio-destro o addirittura il luogotenente di Romito a San Marco in Lamis. E non si comprende perché – continuano i legali – egli avrebbe dovuto concorrere nel quadruplice omicidio. Il quotidiano online allude al fatto che Ferro abbia teso una trappola al Romito ed ai Luciani, conducendoli all’appuntamento mortale e tanto perché obiettivo del Ferro era quello di destituire il Romito per occupare un ruolo apicale nella presunta mafia garganica“.
“La testata l’Immediato – si legge ancora nella nota di replica – allude pacificamente ad un ruolo presuntivamente svolto dall’esponente e dal povero germano Ferro Giuseppe, tirato in ballo per avvalorare questa tesi. Il Ferro Giuseppe era affetto da depressione ancor prima dei fatti avvenuti il 09.08.2017 e, senza ombra di dubbio, non si è suicidato per i presunti rimorsi avuti dopo il quadruplice omicidio. Il fatto è avvenuto il 24.07.2018, ossia circa un anno dopo il tragico evento del 9 agosto”.
E ancora: “Il signor Luigi Ferro ha dovuto ingoiare, in silenzio, per rispetto delle vittime e dei propri familiari, quintali e quintali di fango per accuse false ed infamanti, confidando nell’operato dell’autorità giudiziaria inquirente, speranzoso che, nei giusti tempi, avrebbe fatto luce su tale vicenda”.
Secondo gli avvocati “di vero, con riferimento al Ferro Luigi, vi è solo la circostanza secondo cui l’esponente risultava essere indagato, con il defunto Mario Luciano Romito, nel processo ‘Ariete’, ad oggi ancora pendente dinanzi al Tribunale di Foggia.
“Ed infine non si può non spendere alcune parole in merito alla morte del povero Rendina Carmine! Il Rendina Carmine, all’epoca dei fatti, deteneva in affitto, unitamente ai Luciani, omonimi dei fratelli Luciani ma non legati ad essi da alcun rapporto di parentela, i terreni ubicati in agro di Apricena alla località Foreste. Dopo l’omicidio del Rendina, i Luciani spontaneamente lasciarono i terreni e senza ricevere alcuna pressione dal Ferro e, dopo circa cinque anni dai fatti, tali fondi venivano acquistati dal Ferro Michele e da altri soggetti. Ed anche in relazione a tale vicenda il Ferro è disponibile a chiarire la sua posizione ove mai dovessero essere pendenti indagini a suo carico, poiché egli è assolutamente estraneo ai fatti”.
Temi, quelli sollevati dai legali, ai quali l’Immediato non può che replicare. Nell’articolo contestato non si fa alcun accenno all’ipotesi che Ferro volesse ricoprire ruoli apicali nella mafia garganica, che gli avvocati ritengono ancora “presunta”, nonostante sia stata accertata da sentenze definitive come quella di “Iscaro-Saburo” del 2009. L’articolo pone una serie di interrogativi, avanzando possibili correlazioni tra alcuni episodi di sangue accaduti sul Gargano negli ultimi anni. L’omicidio Rendina del 2012, all’incirca nella stessa zona della strage, il quadruplice omicidio del 9 agosto 2017 e il suicidio del fratello di Ferro. Quesiti posti alla luce dell’alone di mistero che continua ad aleggiare attorno a quella mattanza. Il processo a Giovanni Caterino (al momento unico imputato della strage) iniziato a Foggia qualche settimana fa, potrebbe servire a fare chiarezza su tanti aspetti, compresa la morte dei due contadini Luciani.
Inoltre, l’ipotesi che Romito possa essere stato tradito dai suoi uomini è emersa dalle carte giudiziarie relative alla mattanza dell’estate di due anni fa. Ed è qui che spuntano le dichiarazioni fornite dal pentito Carlo Magno al pm della DDA, Giuseppe Gatti.
Gatti: “Tucci le ha detto che sapeva che delle persone di San Marco erano state a casa di Romito”. Magno: “Si, un giorno prima. E che la moglie avrebbe detto che quelle persone non se ne erano andate tanto… tanto contente”. Gatti: “E che queste persone di San Marco non se ne erano andate contente dalla casa di Romito”. Magno: “Non tanto contente, si…”
Luigi Ferro braccio destro o luogotenente di Romito? Non è l’Immediato ad avanzare questa ipotesi ma il lavoro di procura e forze dell’ordine che, soprattutto nelle carte dell’operazione “Ariete” (assalto fallito ad un blindato tra Mattinata e Vieste), indicavano il sammarchese tra gli uomini più vicini e di fiducia del defunto boss, in compagnia di altri elementi di spicco della malavita garganica. Paradossale che dalla nota del legale emerga invece un profilo di specchiata moralità.

Intanto restano numerose le domande senza risposta. Chi aspettava Romito quel giorno? La sua morte avrebbe in un certo senso “liberato” i propri sottoposti? Qualcuno che forse scalpitava alle spalle del boss e che adesso avrebbe campo libero, non escludendo chi oggi è in carcere, stando alle recenti rivelazioni del pentito Carlo Magno. Tant’è che attualmente gli inquirenti non parlano più di Romito ma di clan Lombardi-Ricucci-La Torre.
Infine, l’omicidio Rendina. Se non ci fu alcuna pressione, perché un uomo incensurato e senza legami con la mafia locale, venne giustiziato con un colpo alla testa come si fa tra clan della malavita? Dalle indagini dell’epoca si appurò che la vittima non avesse intenzione di lasciare quei terreni e allora ci si continua a domandare: qualcuno avrebbe risolto la questione con la forza? C’è una correlazione tra quell’omicidio e la strage del 9 agosto 2017?