“Le vicende poste alla base della richiesta di sequestro preventivo di 10 immobili avanzata dalla Procura traggono origine da una allarmante situazione emergenziale creatasi già da diverso tempo in agro di Foggia e Manfredonia, e più nel dettaglio nella zona estesa su 165 ettari adiacente al Cara, denominata “ex pista” trasformata in una baraccopoli”. Lo scrive il gip Manuela Castellabate nel decreto di sequestro preventivo chiesto dai pm Paola De Martino e Maria Giuseppina Gravina eseguito da 200 tra soldati, poliziotti, carabinieri e finanzieri. Sequestro preventivo accompagnato dalla contestuale demolizione dei 10 immobili (tra i quali anche una discoteca e una baracca a luci rosse) oggetto dell’indagine, disposta dal prefetto Massimo Mariani “in piena sinergia con la Procura e previa autorizzazione dei pm; la demolizione è stata decisa per eliminare la situazione di illegalità riscontrata e impedire che le attività illecita potessero proseguire o essere reiterate”, spiega la prefettura.
L’operazione “Law and Humanity” ha riguardato esclusivamente il sequestro e abbattimento di 10 immobili in cemento realizzati nell’ex pista aeroportuale e trasformati abusivamente in luoghi di attività illecite gestiti dalla mafia nigeriana. Sono invece ancora in piedi, le centinaia di baracche pure abusive dove al momento vivono 1500 stranieri, quasi tutti africani. Le ruspe dell’11 reggimento Genio guastori di Foggia hanno lavorato dalle 12 sino alle 3 di pomeriggio di mercoledì, per abbattere i 10 immobili, dopo che tecnici dell’Enel avevano rimosso gli allacci abusivi e messo in sicurezza l’area. Le operazioni sono proseguite sino a pomeriggio inoltrato con una ditta specializzata per rimozione di macerie e materiale di risulta.
La baraccopoli era “già oggetto di numerosi inchieste giornalistiche per illustrate una situazione di degrado nella quale versano gli immigrati, sia regolari che irregolari”. Tra cui anche ex ospiti del vicino Cara che dopo aver abbandonato la struttura, si sono sistemati nelle sue immediate adiacenze in baracche costruite con lamiere e legna, allestite in poche ore e che bruciano con altrettanto fretta. Come successe la notte sul primo novembre 2018 quando un rogo causò la morte di Bakary Secka, ghanese di 34 anni.
L’ARCI: “Che fine faranno quelle persone?”
“Quanto avvenuto nell’ex pista di borgo Mezzanone è un preludio al preannunciato sgombero, che si dice verrà fatto il prima possibile: ma queste persone una volta sgomberate dove andranno? Che fine faranno? Ciò che accade e accadrà in quel luogo non riguarda solo chi oggi vive nell’ex pista ma riguarda tutta la società”: lo scrive l’Arci in un comunicato per commentare le mirate operazioni di abbattimento di 10 immobili nel ghetto della borgata.
“Sono anni che diciamo a gran voce che il ghetto di Borgo Mezzanone è un luogo ignobile; un buco nero della civiltà e della democrazia che inghiotte e stritola tutti i suoi abitanti. Noi – prosegue la nota Arci – non facciamo distinzione tra migranti e italiani: il diritto ad una vita dignitosa appartiene a tutti. Ecco perché quel luogo è una ferita inferta a tutta la società ospitante. Sono anni che affermiamo che quel posto deve essere abbattuto così come tutti i luoghi di apartheid fisico e simbolico che sorgono nelle nostre città, così come le tante cattedrali nel deserto che sorgono nelle periferie laddove la vita scorre senza servizi e tutele. Nel ghetto di Borgo Mezzanone non c’è nessun tipo di tutela. Neanche quella, fondamentale e costituzionalmente garantita – sanitaria, oggi ostacolata dall’impossibilità delle tante persone che ci vivono di richiedere la residenza dopo il Decreto Salvini. Sono proprio queste condizioni a determinare forti rischi per la salute e l’incolumità delle donne e degli uomini che vi sono stanziati”.