La Fondazione Monti Uniti, presieduta dal professor Aldo Ligustro, stamattina ha riflettuto insieme al vicedirettore della Svimez Giuseppe Provenzano, in una iniziativa promossa da Aiga, Confcommercio, Confindustria, Cciaa e Acli, sull’ultimo rapporto Svimez 2017 sull’economia del Mezzogiorno, datato a qualche mese fa e aggiornato agli ultimi dati dei primi mesi del 2018. L’Associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno (Svimez), è un ente privato senza fini di lucro fondato nel 1946 da un gruppo di importanti personalità del mondo industriale ed economico, tra i quali Donato Menichella, originario di Biccari a cui è dedicato il Premio Menichella che da 4 anni la Fondazione Monti Uniti conferisce alle personalità che si sono distinte nel campo dell’economia.
Il Mezzogiorno, che è uscito dalla “lunga recessione”, nel 2017 consolida la ripresa, ma permane in una vistosa emergenza sociale. I numeri della Svimez, per quanto indichino alcuni elementi positivi nell’economia meridionale, che ne mostrano la “resilienza”, come le esportazioni anche in un periodo di rallentamento del commercio internazionale o l’aumento delle presenze di viaggiatori stranieri nel settore turistico, sono molto poco incoraggianti. “Il divario costante tra Nord e Sud del Paese, tra aree interne e città e nelle città tra centro e periferia cresce e se non si colmano le distanze, il Sud rischia di essere ancora più depresso”, ha spiegato Provenzano.
Il calo della produttività è importante. “Nel Sud torneremo ai livelli pre-crisi a metà degli anni 20, il che significherà avere più di 20 anni di stagnazione e quando hai 20 anni di crescita zero, la resilienza alla crisi può poco”. I consumi mostrano una lieve ripresa, ma rispetto a prima del 2008 sono diminuiti nel segmento alimentare del 15% in Puglia.
“Gli investimenti ripartono anche dall’industria, ma è l’agricoltura a trainare con un +10,9% insieme al turismo, che ha beneficiato delle crisi geopolitiche del Mediterraneo. Agricoltura e turismo sono settori sottodimensionati, ma senza un’industria avanzata la ripresa dello sviluppo resta fragile”, è stato il monito del vice direttore Svimez e dirigente nazionale del Partito democratico. Il dinamismo pugliese si realizza nell’export, ma per far ripartire davvero l’economia servono almeno tre asset.
Il primo riguarda l’attrazione di investimenti esterni, il secondo quello della dimensione aziendale ancora troppo localistica e ristretta e il terzo concerne la capacità di attrarre lavoro e risorse umane, irrobustendo il capitale sociale.
La struttura dell’occupazione anche nel 2017 ha tagliato fuori i giovani in Puglia e nel Sud. 1 giovane su 2 è disoccupato. C’è stata secondo i dati della Svimez una esplosione del lavoro a tempo parziale, con un milione di posti in più part time. Salario ridotto e carenza di domanda, queste le conseguenze drammatiche di tale evidenza statistica. Per ogni occupato in più non si è “prodotto” un povero in meno, anzi. Il 10% della popolazione meridionale vive in condizioni di povertà, mentre un terzo è invece a rischio povertà.
Il dualismo Nord-Sud si caratterizza ancora di più come un dualismo demografico, poiché al Sud cresce la spirale demografica per la scarsa natalità e per l’incapacità di accogliere risorse umane esterne. “Tra meno di 50 anni rischiamo al Sud di perdere 5 milioni di abitanti, il Mezzogiorno sarà l’area più vecchia e più povera del Paese, sempre più dipendente dai trasferimenti statali messi in discussione dai referendum fiscali delle regioni del Nord”.
Il tema demografico è angosciante. Negli ultimi 15 anni il Sud ha registrato 500mila giovani in meno rispetto ai 15 anni precedenti, 250mila laureati in meno, di cui -50mila quelli pugliesi.
La perdita secca in ricchezza e valore, causato dai giovani emigrati o diminuiti per la denatalità, vale per il Sud -30 miliardi di euro. Più di un ciclo di fondi europei.
Ecco perché secondo Provenzano il Mezzogiorno deve fare attività di lobbing anche in relazione al Governo gialloverde. “Quello che mi preoccupa è ciò che non c’è scritto nel contratto di governo, la Flat tax è una chiara misura a beneficio del Nord, mentre il reddito di cittadinanza andrebbe a beneficiare il Sud, ma potrebbe anche andare a scapito della spesa corrente prevista per il Mezzogiorno. Sappiamo ancora poco di come sarà realizzata l’autonomia differenziata. Il residuo fiscale vale 50 miliardi ed è lo specchio dei divari socio economici esistenti”.
Provenzano ha anche sfatato uno dei pregiudizi più duraturi: il Sud non è inondato di risorse pubbliche. Al contrario, soffre di un divario di 10 punti percentuali rispetto al Nord, laddove anche la raccolta dei depositi bancari va a finanziare con gli impieghi le imprese e le attività del Nord del Paese. La spesa ordinaria meridionale si è dimezzata per colpa di una pubblica amministrazione vecchia e demotivata, che andrebbe sostituita e rinverdita. Le poche speranze arrivano dall’esigenza di rilanciare gli interventi pubblici per rendere più attrattivi i territori e dalle zone economiche speciali, per rimettere in moto meccanismi ormai perduti, uno su tutti l’occasione mancata dal porto di Taranto che avrebbe potuto essere quello che è diventato il Pireo con gli investimenti cinesi.
Gli attori economici del territorio hanno ribadito alcune lagnanze. Il presidente di Confindustria Gianni Rotice ha ribadito la necessità di accelerare il tema delle infrastrutture. “Della spesa del Patto per la Puglia ad oggi non è partito niente. Come facciamo a crescere senza sviluppo infrastrutturale? La disoccupazione non si elimina se non si mettono le imprese nelle condizioni di investire. Dei 600 milioni previsti dal Patto per la Puglia per la Capitanata non si sa niente. Perché? Viviamo un nanismo aziendale, creare fiducia è fondamentale”, ha argomentato l’ingegnere manfredoniano, che ha anche introdotto il tema delle Zes, ferme in Puglia dopo le dimissioni dell’ex assessore regionale allo Sviluppo economico Michele Mazzarano. Il lavoro fatto nelle commissioni giace sul tavolo.
Anche sulle Zes però la Puglia non ha mostrato visioni unanimi. “Ci siamo uccisi tra Salento e Gargano sui suoli, non so cosa si sia partorito. Le Zes dovrebbero portare agevolazioni fiscali e burocrazia snella. Nelle Zes è entrato il Gino Lisa, l’Asi e l’area portuale di Manfredonia per un totale di 400 ettari”, ha spiegato Rotice.
Polemico in tal senso il presidente camerale Fabio Porreca: “Prevedere le Zes nell’Asi dove già ci sono realtà imprenditoriali non ha senso, è sulla estensione dei terreni del Consorzio che bisognerebbe prevedere le Zes- ha stigmatizzato- non possiamo fare come con il Contratto d’Area, che ha creato disastri, la vertenza della Manfredonia Vetro è anche questo, un minor export per tutta la provincia. Sono un po’ sfiduciato: manca un disegno complessivo vero per lo sviluppo della Capitanata”.