
“A me la rabbia non è mai passata e vorrei che si ribellassero tutti. Ma, lo confesso, comprendo chi ha visto il sacrificio di mio padre e cosa ha prodotto e oggi mi dice: “Tu anziché andare avanti, sei andato indietro”. E cosa devo rispondere io? Lo Stato dice di voler cercare le imprese lontane dalla mafia, quelle pulite, che non si piegano. Ma se paghi in prima persona, alla fine chiudi. Nessuno ci ha aiutato dopo. Nessuno”. Sono molto forti le parole rilasciate a ilfattoquotidiano.it da Michele Panunzio, figlio di Giovanni Panunzio, l’imprenditore edile foggiano ammazzato il 6 novembre del 1992. 25 anni fa. L’uomo fu ucciso per aver denunciato il malaffare, in via Napoli, affiancato da due persone a bordo di una moto mentre era alla guida di una Y10. Quattro colpi calibro 38 non gli diedero scampo. Panunzio morì in ospedale due ore più tardi. Non voleva pagare il pizzo e fu ammazzato senza pietà. “Scriveva tutto quel che succedeva – ricorda il figlio -. Arrivò a dirlo anche ai suoi interlocutori, quando capiva che lo avevano avvicinato come intermediari: ‘Sappi che se sei venuto per il pizzo, io sto scrivendo tutto’. Il memoriale venne sequestrato: ci fu un’indagine perché altri costruttori non avevano detto no alle richieste estorsive. Perquisirono anche lo studio di mio padre. Chiesero di aprire la cassaforte e dentro c’era l’agenda con tutti gli appunti. Sulla copertina aveva scritto: ‘Per mia moglie, nel caso dovesse succedermi qualcosa’“.
Un uomo onesto, Panunzio, che diede lavoro a decine di persone nei suoi cantieri. Coraggioso nel denunciare in un periodo durante il quale i costruttori erano particolarmente nel mirino della criminalità. Due anni prima venne ucciso nel suo cantiere Nicola Ciuffreda mentre altri subirono gravi atti intimidatori. Oggi Michele Panunzio si sfoga così: “Subito dopo la morte di mio padre, le banche ci hanno chiuso le porte in faccia. Siamo stati costretti a svendere il patrimonio per pagare i debiti e io ho dovuto rimettermi in marcia. Mio padre ha denunciato, ha collaborato, non si è tirato indietro. Ma quando l’hanno fatto fuori, la cosa principale sarebbe stata seguire la famiglia. Invece non è accaduto. Lo Stato dovrebbe prendersi a cuore il dopo. Per diverso tempo i delinquenti siamo stati noi: quando incontravo soggetti malavitosi nei bar della città, me ne andavo; mia moglie è stata cacciata da alcuni commercianti, perché i mafiosi avevano impedito loro di venderci i vestiti”.
Oggi, a 25 anni di distanza, la situazione non sembra essere cambiata. La quasi totalità degli imprenditori locali avrebbe – stando al Csm – un “atteggiamento di volontaria sottomissione al fenomeno mafioso”. In buona sostanza sarebbero le stesse vittime a cercare “in prima persona i soggetti appartenenti alla Società Foggiana e alla mafia garganica anticipando le ‘richieste’ dei malavitosi”.
“Foggia è rimasta così com’era: la situazione è insostenibile – la conclusione del figlio di Panunzio a ilfattoquotidiano.it -. Quasi tutti, lo raccontano le statistiche, pagano il pizzo. Solo ultimamente c’è stato sun segnale forte da parte delle istituzioni. La situazione è peggiore di quella del 1992″.
Il ricordo di Landella e Miranda
“Giovanni Panunzio era un uomo libero che ha pagato con la vita la scelta di non volersi piegarsi alle logiche mafiose. Ieri come oggi abbiamo il dovere di sostenere le battaglie per la Legalità”, queste le dichiarazioni del sindaco, Franco Landella che oggi insieme al presidente del Consiglio comunale, Luigi Miranda ha posto una corona di alloro al monumento che ricorda Panunzio. Subito dopo l’imprenditore è stato ricordato in un convegno promosso dall’Associazione “Giovanni Panunzio – Eguaglianza Legalità Diritti”, che si è svolto nell’Aula Magna dell’Università, in via Caggese.
Nel suo intervento di saluto, Miranda ha dichiarato che: “L’omicidio di Giovanni Panunzio è uno spartiacque della storia della nostra città. Prima e dopo Panunzio, prima e dopo la morte di un galantuomo, prima e dopo la reazione violenta della malavita contro un uomo perbene che si è rifiutato di scendere a compromessi. Venticinque anni fa la nostra città ha perso non solo la vita di un suo cittadino, ma ha perso un po’ di se stessa. Dopo l’omicidio Panunzio la città di Foggia si è svegliata diversa, più insicura, meno fiduciosa nella capacità umana di vivere in maniera fraterna. Dopo l’omicidio Panunzio Foggia ha capito che la malavita era presente nel tessuto sociale, ed era capace di uccidere. Solo dopo l’omicidio di Giovanni Panunzio nella nostra città abbiamo iniziato a riflettere sui temi della legalità.
Il vivere civile, la normale convivenza – ha continuato Miranda – hanno bisogno di legalità, che è il rispetto e la pratica delle leggi. È un’esigenza fondamentale della vita sociale per promuovere il pieno sviluppo della persona umana e la costruzione del bene comune. La nostra sicurezza ed incolumità sono affidati alla eccellente Procura della Repubblica, ai magistrati. alla Polizia, ai Carabinieri, alla Guardia di Finanza che hanno sferrato colpi straordinari alla criminalità e che, tra mille sforzi, svolgono un ruolo straordinario per la difesa della legalità nel nostro territorio. Ma al contempo legalità dobbiamo essere tutti noi. La legalità è una responsabilità, anzi corresponsabilità.
Giovanni Panunzio è diventato un simbolo, uno dei simboli nazionale della lotta al racket, della lotta alle estorsioni. Un fenomeno incivile, perché uccide l’economia di un territorio, mortifica l’impegno degli imprenditori, condanna a morte le imprese e cancella posti di lavoro. È vero che molti, per paura o per quieto vivere, pagano il pizzo, si piegano alla violenza estorsiva. Giovanni Panunzio ha invece avuto il coraggio di dire no, ha avuto il coraggio di dire che l’onestà è più forte del malaffare, e ha portato fino alle estreme consegue, fino alla morte, le sue convinzioni. Giovanni Panunzio è un campione della legalità.
La legalità – ha proseguito Miranda – è un sentimento innato nel cuore dell’uomo, e per certi versi è patrimonio genetico. A condizione che sia coltivata dalla educazione di famiglia e scuola, e dalle buone prassi delle istituzioni. Se famiglia, scuola e Stato forniscono buoni esempi di legalità i nostri figli cresceranno sapendo quali sono i comportamenti leciti e quali no.
Occorre creare una mentalità nuova, che sia rispettosa della legalità e non intimorita dal malaffare. Perché la paura e il timore, sono alleati dei delinquenti. Cittadini e Istituzioni devono fare ognuno la sua parte: le Istituzioni, per esempio, con un maggiore controllo dei commercianti abusivi e dei venditori di materiale contraffatto. I cittadini evitando di fare acquisti dagli abusivi e non ostruendo gli scivoli per disabili. Perché la legalità – ha concluso Miranda – si impara rispettando il codice della strada, e non solo il codice penale. Dobbiamo imparare ad essere rispettosi nel poco, per pretendere il rispetto della legalità nel molto. La legalità è un servizio alla collettività, non il dovere di un singolo. Dobbiamo operare insieme per contrapporre la legalità organizzata alla criminalità organizzata, dobbiamo opporre la luce di iniziative come questa di oggi al buio della criminalità, la nostra voce alta e sicura al silenzio cui vorrebbe ridurci la criminalità”.