di ANTONELLA SOCCIO
Mentre scriviamo sono state scrutinate solo 756 sezioni su 5.300 nel lentissimo spoglio delle elezioni siciliane, ma di un dato si può esser certi: la somma dei voti del centrosinistra diviso non raggiunge lontanamente neppure la percentuale di quello che sarà il secondo classificato per il dopo Crocetta.
“I dati delle regionali in Sicilia e delle amministrative ad Ostia sono inequivocabili per il PD e per il centrosinistra. Come previsto da molti, divisi e alle prese con la lotta fratricida e con la contesa degli stessi elettori si viene schiacciati dalla destra unita e dal M5s – ha evidenziato subito il parlamentare Dario Ginefra -. Ora spetta ai gruppi dirigenti dei nostri partiti scegliere cosa fare. Proseguire in questo suicidio in vista delle prossime elezioni politiche o comprendere che il consenso in politica lo si costruisce sulla credibilità di un progetto comune ed espansivo e non con i regolamenti dei conti interni ad una medesima comunità, quelli che lasciano a casa, disgustati e imbarazzati, la gran parte dei suoi elettori. Mi auguro una seria e serena riflessione di tutti, a partire dal mio partito. Non è il momento dell’orgoglio, ma quello dell’equilibrio e del coraggio di scelte riunificanti”. Il voto disgiunto appare tutto incamerato dal penta stellato Giancarlo Cancelleri e non dal candidato di sinistra Claudio Fava, pompato solo nei sondaggi. A l’Immediato il turborenziano Lorenzo Frattarolo, tra i primi in Capitanata a seguire il leader toscano, non nasconde la sua delusione.
“In Sicilia il centrosinistra ha sempre avuto grosse difficoltà, non ha mai avuto percentuali bulgare. Nel dato siciliano c’è anche la questione legata a Crocetta, perché poi alle amministrative si vota rispetto a quello che si è fatto, promesso e non si è realizzato. C’è un dato localistico, a questo si aggiunga la questione della sinistra, nessuno ha da gioire nella divisione, loro compresi. Quello siciliano era un primo test nel quale potevamo dimostrare o attestare una presenza e molti hanno colto l’occasione di remare contro. Non so cosa gli rimanga nel piatto, si sta palesando quello che tutti temevano. Nella bagarre di commenti e risultati, emerge un dato: nessuno avrà i numeri per governare e questo sarà inquietante. Con chi dovrebbero dialogare? Sul dato siciliano, per il quale si sapeva che la sinistra avrebbe incontrato delle difficoltà, l’unica lettura che mi viene da fare è sull’atteggiamento della sinistra: cui prodest? Chi trova benefici nelle rotture? Non solo siamo andati divisi, ma un pezzo della sinistra ha fatto campagna elettorale solo contro il mancato alleato, in una spirale pericolosa”. Il commercialista foggiano si augura che la coalizione del centrosinistra per le prossime politiche sia il più ampia possibile, ma aggiunge “senza ricatti e senza veti”.
Si è chiuso il ciclo di Matteo Renzi? “La verità è che chiunque quando si propone in politica è nuovo, quando passa per il Governo, viene percepito come l’establishment. Io l’ho vissuto come nuovo e ancora oggi non ho un giudizio negativo sui famosi 1000 giorni, ma il racconto che passa è un altro, forse non si è presidiato abbastanza il mondo dei social network, in un momento di difficoltà non sono stati comunicati abbastanza i cambiamenti del nostro Governo. Ci si è avvitati sulla riforma costituzionale e oggi rischiamo uno stallo pauroso o degli inciucioni incredibili, perché con un sistema tripolare è difficile abbinare la rappresentatività alla governabilità. Io credo che la riforma avrebbe accelerato il passaggio verso una nuova era, ma il popolo ha scelto diversamente. La responsabilità del Pd è stata isolarsi in quella battaglia, non so quando ripasserà il treno delle riforme. Noi assistiamo a tutte le vicende politiche, il protagonista è sempre lo scaricabile, prendiamo il nostro Gino Lisa: viviamo in un Paese in cui nessuno sa dove nasce e muore una responsabilità, è un sistema che fa comodo a tanti. Il Pd dal 2011 è stato impiccato alla responsabilità nazionale, a cominciare dallo spread, era più importante il governo e la gestione anziché l’egoismo di parte. Quando si ha il pallino della responsabilità, si viene additati. I tempi sono quelli che sono, basta uscire dai confini nazionali e guardare tutte le spinte autonomistiche. Lo scenario è molto complesso, bacchette magiche non ce ne sono, chi le promette è un mistificatore. Il Pd è una forza riformista e responsabile e la responsabilità va assunta nel momento più difficile, il 2011 fu un anno chiave, la scelta per molti incomprensibile era inevitabile”.
Il match televisivo tra Luigi Di Maio e Matteo Renzi non ci sarà. È rimandato a data da destinarsi. Il Movimento non poteva scontrarsi con un leader più che dimezzato. “Mi auguro di assistere ad un confronto sereno, pacato e tranquillo, che faccia venire il dettaglio delle questioni – ha detto Frattarolo prima di sapere del depennamento di La7 -. Spero che il confronto non si esaurisca sugli slogan di appartenenza, bisogna stanare Di Maio e i 5Stelle sulla vacuità delle loro proposte, sulla banalità, sulla demagogia spicciola, il più delle volte le cose da loro proposte non sono sostenibili finanziariamente. Come si finanzia la vita politica per me è un tema importante, la politica non possono farla solo le società privata, con misteriosi soggetti che finanziano portali milionari. Anche su questi temi, sono curioso di sapere come si organizzano al loro interno, è un tema cardine che la Costituzione chiarisce. Abbiamo bisogno di sapere tutti che un partito nasce dalla volontà spontanea di un gruppo e non che sia indotto da capitali misteriosi che manovrano un portale web”.