In una lettera inviata dal suo legale alla nostra testata, la signora Sonia, gestore di un’attività commerciale nel Ghetto di Rignano, si difende dalle accuse di caporalato emerse in un approfondimento di Repubblica ripreso dalla nostra testata.
Sono l’avvocato Giovanni Marseglia, si è rivolta al mio studio legale la signora Sonia, che sul vostro quotidiano online, da qualche giorno, vede scritto il suo nome in riferimento alla questione del ghetto e del relativo incendio con la morte di due povere persone.
La signora Sonia vi comunica per mio tramite che non ha mai effettuato lavoro di caporale, non ha mai reclutato nessuno, ha sempre vissuto una vita regolare ed all’interno della baraccopoli aveva un piccolo negozio per la vendita di generi di prima necessità come il pane e poche altre cose. Così come tanti altri avevano attività per la vendita di beni. Avete scritto delle cose molto brutte su questa signora, non avendo delle prove concrete, stando a quanto riferito da un investigatore a Repubblica.
La signora Sonia sono circa 25 anni che si trova in Italia legalmente, ha una famiglia e lavora onestamente, non ha precedenti penali, vero è che in quei giorni dispiaciuta da tutta quella situazione, ha cercato di parlare con la polizia ma non a titolo personale ma a titolo di tanti ragazzi che conosceva di vista e che gli chiedevano quale fine avrebbero fatto, fuori da quel posto. Ma questa mediazione pacifica svolta solo al fine di evitare atti di violenza, è stata fatta da tante altre persone, che si trovavano lì in quel momento, essendo Sonia ed altri considerate delle persone più anziane dai ragazzi più giovani che erano lì a protestare .
Precisato questo è anche opportuno precisare che quel posto, Rignano, rappresentava un luogo dove tanti dormivano, la funzione di quel posto era solo quella di assicurare a coloro che volevano lavorare, lavoro nella campagne lì vicino, e tutto per pochi soldi. Gli stranieri andavano a lavorare ed al ritorno dopo una giornata di fatica, trovavano delle persone che li cucinavano, chiaramente il cibo veniva pagato.
Questa era la funzione del ghetto, di tenere più vicino possibile i braccianti agli imprenditori agricoli che necessitavano di questa manodopera, e che il prezzo lo decidevano gli imprenditori agricoli non i braccianti e nessun altro.
Per quanto attiene ai reati di caporalato accaduti in quel posto come recitano giornali e come dice la DDA di Bari, del quale abbiamo tutti grande rispetto, da avvocato le dico che aspettiamo di leggere le sentenze penali di condanna e di accertamento di fatti così gravi che ci dicano che questi fatti sono avvenuti in quel psoto.
Egregio direttore, pensi per chiarire alcuni aspetti che quando in quel posto si è consumato un omicidio recentemente, sono stati loro stessi i cittadini del ghetto che hanno isolato questa persona e poi l’hanno consegnata alla Polizia di Stato di Foggia.
Per cui quando qualcosa accadeva tra di loro, di fatti delittuosi loro si attivavano per aiutare polizia e carabinieri a risolvere questi fatti. Parliamo di fatti provati. Ed inoltre le voglio chiarire che sicuramente in quel posto mancavano le condizioni igieniche basilari di una vita normale, ma è anche vero che parecchi di loro volevano restare e viveri lì. Oggi, invece, dormono sotto il cielo perchè posti per dormire non ci sono per tutti. A questo punto faccio una domanda alla società civile e ai volontari, ed alla Caritas di Foggia e di San Severo: dove sono i volontari per portare dell’acqua e dei vestiti a queste persone che sono senz’acqua?
Vorrà pubblicare questa lettera, che cerca di rendere giustizia ad una ottima madre di famiglia che vive in Italia tra mille difficoltà ma onestamente.
Cordiali saluti
avv. Giovanni Marseglia