

A quattro anni dall’omicidio e a quasi due dalla prima ordinanza di custodia cautelare, ieri al processo con rito abbreviato il pm Delia Boschetto ha chiesto la condanna di Ivan Commisso, 28 anni e Ferdinando Catarisano, 24 anni, i cugini di Costigliole accusati dell’omicidio di Luigi Di Gianni, 53 anni, gestore del night club Odeon di Strevi (provincia di Alessandria) ucciso a fucilate la sera di sabato 12 gennaio 2013 davanti alla sua casa a Isola. Di Gianni ovvero “Gino di Foggia”, nome che utilizzava da cantante amatoriale per omaggiare la propria città d’origine, Foggia appunto, dove vive ancora una sorella.
Chiesti 20 anni di reclusione per Commisso, 18, invece per Catarisano, incensurato. La condanna è stata sollecitata anche dall’avvocato Ferruccio Rattazzi, legale di parte civile di Angela Presneanu, vedova della vittima.
Mercoledì prossimo le arringhe dei difensori Aldo Mirate, Vittorio Gatti e Lorenzo Repetti. Il giudice monocratico Alberto Giannone pronuncerà la sentenza in una data ancora da individuare. Il processo si sta celebrando a porte chiuse. Le accuse sono di omicidio volontario premeditato e ricettazione del fucile, rubato in un’abitazione di Castello d’Annone.
La procura ha riconosciuto il diritto degli imputati alle attenuanti generiche oltre allo sconto di un terzo sulla pena per il rito abbreviato. Così la condanna all’ergastolo per gli omicidi premeditati viene diminuita fino a 20 e 18 anni.
Il movente
Nella requisitoria il pm Boschetto ha ripercorso la lunga fase delle indagini e snocciolato gli indizi attraverso i quali la procura è giunta a Catarisano e Commisso. “Gino di Foggia” avrebbe iniziato a morire un pomeriggio del dicembre 2012 quando vi fu un incontro in un bar di piazza Primo Maggio con alcuni appartenenti alla famiglia Catarisano. In quell’occasione ci sarebbero stati dissapori su chi dovesse accollarsi gli oneri finanziari del night club di Strevi, gestito da Di Gianni ma in precedenza di proprietà di un parente della famiglia Catarisano. Gino avrebbe pronunciato frasi ritenute offensive. Da qui la voglia di vendetta della famiglia Catarisano.
Un movente di onore e di denaro, delineato nelle 130 pagine di memoria depositate ieri dal pm Boschetto al giudice Giannone. Un’ampia ricostruzione dell’inchiesta coordinata sul campo dal capitano dei carabinieri Giampaolo Canu. Gli imputati sono liberi perché il giudice Giannone li aveva scarcerati, dopo circa due mesi di detenzione: una perizia di un docente universitario di Fonetica sulle intercettazioni ambientali in dialetto calabrese aveva fatto emergere discrepanze rispetto alle trascrizioni della polizia giudiziaria. Ieri in udienza c’era solo Catarisano .
(fonte la stampa.it)