Vittorio Sgarbi mattatore al Giordano, Caravaggio e altre chicche per uno spettacolo da incorniciare

Sul palco sono installati tre quadri, uno con la figura intera gli altri due ritraggono particolari. Vittorio Sgarbi sfida il classico modo di fare lezione accademica su Caravaggio scommettendo sul “racconto del pittore” in scena. Traccia paragoni fra le sue figure efebiche, bacchici giovinetti con e senza ceste di frutta, che ammiccano, si offrono. Critica con la solita carica corrosiva quanti, intellettuali come lui – ma la definizione non gli piace e per questo cita Sciascia e il suo “se mi chiamano così non mi giro”- la sparano grossa su inventati paralleli.

Il tema religioso

Ad esempio nel riposo della fuga in Egitto – tematica religiosa cui Caravaggio si dedica fra gli anatemi di una chiesa che lo aveva ostracizzato per le sue rappresentazioni così poco eteree e didascaliche, come il tempo e la temperie richiedevano – spiega la rottura degli schemi rispetto alle icone precedenti di questo genere: “Mentre la Madonna dorme, San Giuseppe dialoga amabilmente con un angioletto”. Sgarbi indica il movimento appena accennato dei piedi: “Notate il turbamento in questa posa della giovinetta”. Passa alla Maddalena che dorme e che stupirà il committente del quadro: “Ma allora lei dov’è?”, nessuno mai l’aveva rappresentata in questa posa.

Paralleli con la fotografia

“Perché lui inventa la fotografia, non la macchina fotografica”. Da qui i paragoni con scene di Capa e Bresson mentre i brani di racconto, guidato, per parole e immagini sono intervallati dalla musica di Valentino Corvino. Non c’è artista più moderno di lui, anzi, “contemporaneo”. “Non sono stati il Settecento o l’Ottocento a capire Caravaggio, ma il nostro Novecento. Caravaggio viene riscoperto in un’epoca fortemente improntata ai valori della realtà, del popolo, della lotta di classe. Ogni secolo sceglie i propri artisti. Tra questi, nessuno è più vicino a noi, alle nostre paure, ai nostri stupori, alle nostre emozioni, di quanto non sia Caravaggio.” Immagini neorealistiche prima che il Neorealismo nascesse, ma “Caravaggio era molto più avanti degli altri” chiosa in un passaggio il cantore dell’artista.  

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I “ragazzi di vita” del pittore

E’ il Pasolini di “Ragazzi di vita”– di cui Sgarbi racconta la vita e la morte con la brutalità e gli eccessi che l’hanno caratterizzata – al centro del parallelo con i giovinetti sfrontati che offrono il proprio corpo in sensuali ammiccamenti, quelli che cercava lo scrittore e che saranno determinanti per la sua fine. Ninetto Davoli e Franco Citti, colti nelle somiglianze con questa sensualità provocante della fine del ‘500, si accostano al quadro d’autore sul palco in uno slittamento di lineamenti dal pennello alla macchina da presa.

Riferimenti all’attualità

foto 2 (1)Lo studioso fa conoscere zone artistiche inesplorate nel senso di pittori che sfuggono ai più o che, peggio, vengono scambiati con altro. Esempio: “Carpaccio è un pittore, non il piatto da cui deriva per una scelta pubblicitaria alla Biennale di Venezia”. Inoltre: “Tiziano è un pittore, non solo Tiziano Ferro”. Non è la voce del critico d’arte che suggerisce risposte ma quella di chi legge tendenze e modi di dimenticare le radici delle cose in un flusso di devastante confusione. Con qualche pignoleria, forse.

Passa al suo esame anche la legge Cirinnà “dettata da questioni mortifere”, cioè secondo lui incentrata su mere questioni economiche e lontana dalle scelte di uno scrittore cacciato dal suo partito e portato in tribunale per processare un libro ritenuto pornografico sui ragazzi di borgata.

Difende la scelta del crocifisso in classe e del presepe quando parla della Natività, “una scena umile e povera che rappresenta il nostro sentire, la nostra civiltà, la sofferenza di un uomo, non si tratta di essere parziali a danno degli islamici”.

Sgarbi scommette sul teatro per diffondere l’arte e sulla sua capacità di mescolare competenze con l’attualità, registro alto e tecnico con qualche imprecazione o parolaccia. Scommette sulla conoscenza del territorio. Nota la sua predilezione per Lucera, il suo compiacimento per l’arrivo dei Grifoni da Ascoli ad Expo, una manifestazione che critica per alcune strutture “inutili e periferiche”, e per gli sprechi. Fulmini contro il mancato arrivo a Milano dei Bronzi di Riace perché “fragili mentre i Grifoni no”.

In veste di critico d’arte raggiunge i suoi massimi vertici espositivi e contenutistici su cui sgorga la solita ironia, amara e realistica, come nella visione del pittore, maestro di vita, di morte, di arte vera.