
“Non si possono tagliare servizi e ospedali senza nemmeno ascoltare le istituzioni del territorio”. Seppur consapevoli della limitata capacità di influenza sulle decisioni del governatore (e assessore alle Politiche della salute) Michele Emiliano, una parte dei consiglieri provinciali di Foggia ha provato a buttar giù qualche idea per il riordino sanitario. Sono lontani i tempi della concertazione – dall’ex governatore Raffaele Fitto, sconfitto alle elezioni da Nichi Vendola, fino all’ex assessore Tommaso Fiore, impegnato in un tour estenuante nei consigli comunali per convincerli della necessità del piano “lacrime e sangue” -, ormai le decisioni vengono “date in pasto”. E se nessuno sa ancora se verranno metabolizzate, a Palazzo Dogana puntano il dito contro “l’assenza in commissione del direttore generale dell’Asl Vito Piazzolla” e sottolineano l'”annullamento” di una delle poche deleghe rimaste all’Ente: quello del coordinamento delle politiche territoriali di area vasta.
“Emiliano deve ascoltarci – spiega Gaetano Cusenza, inquilino di Palazzo Dogana e dipendente Urp di Casa Sollievo della Sofferenza -, non possiamo cedere nulla di ciò che abbiamo, perché se è vero che possiamo contare su due ospedali di eccellenza (San Giovanni e Foggia), attualmente non abbiamo garanzie sugli altri presidi, che in ogni caso dovranno essere conservati così come sono adesso”.
Il termine di paragone più volte citato è la provincia di Modena, che accanto ad un ospedale di eccellenza può contare su una “cinta” di ben 12 ospedali. Se si considera, dunque, la complessità territoriale della Capitanata (con il Subappennino ed il Gargano), spiegano da Palazzo Dogana, “non si può che convenire sulla necessità di 5 ospedali in provincia”. Per Pasquale Russo, inoltre, l’ospedale di primo livello previsto per legge e non considerato nelle slide da Giovanni Gorgoni, dovrebbe essere il Masselli Mascia e non Cerignola: “Con la chiusura del Lastaria di Lucera, accorpato a San Severo, non si può far altro che considerare il Masselli presidio di primo livello, perché è l’unico in provincia a garantire il numero di posti letto minimi per una struttura del genere”.
Marco Camporeale sottolinea, invece, la difficoltà del Subappennino e di una parte dell’Alto Tavoliere dopo i tagli (“Torremaggiore non è più nemmeno un pronto soccorso, mentre declassano San Severo”). L’occasione è propizia per evidenziare uno dei nodi determinanti per la spesa sanitaria pugliese, che assorbe circa l’80 per cento del bilancio (più di 7 miliardi di euro): “Con la chiusura di Lucera, che finora ha servito un’area di 31 comuni, una buona parte dei cittadini dei Monti Dauni andrà a curarsi a Campobasso, facendo innalzare ulteriormente la spesa che attualmente già supera i 200 milioni di euro su scala regionale. La situazione è paradossale, così non verranno garantite le cure ai pugliesi nella propria terra e si spenderà di più…”.
Le rivendicazioni – non scaturite in una proposta vera e propria – dovranno servire a sollecitare un incontro con Emiliano. Prima della scadenza del 29 febbraio, giorno in cui il documento preliminare al piano vero e proprio sbarcherà in Giunta. Un tentativo che difficilmente avrà successo.