Cinquant’anni di carriera ed un pensiero: “Questo concerto lo dedico agli amici che non ci sono più, ai miei maestri, agli amici del Gargano, a Matteo Salvatore”. La voce di Renzo Arbore è commossa, Foggia gli ha regalato un pienone che non si vedeva da tempo: “Arrivate fino a piazza Giordano”, grida al pubblico in delirio che lo ha accolto. Saluta un po’ di gente e nomina i paesi di provenienza, poi ci rinuncia perché l’elenco gli sfuggirebbe.
Non si risparmia l’artista per la sua città, tre ore di concerto in cui passano i ricordi, gli esordi, Quelli della notte, il Clarinetto, Il Materasso, Smorz ‘e llight. Lui prende la chitarra, si siede al pianoforte, sfoggia il dialetto, anzi, “il terrazzano” e incorona il pubblico: “Ecco il coro di Foggia”, che dirige nei tempi perché alcune canzoni le canta la marea accorsa in piazza Cavour.
Un gruppo di ragazzi con il tocco universitario gli consegna un foglio scritto in latino maccheronico, Renzo è anche quello che si distingueva per goliardie universitarie. La città gli offre in diretta sul palco anche l’attestato di foggiano ‘doc’, in barba alle critiche sulla sua pervasiva napoletanità. “Noi suonavamo lo swing in piazza Lanza quando c’erano gli americani e ci esercitavamo su testi semplici”. E parte Natalino Otto con “Mamma non ho voglia di studiare”: anche i più sfegatati fan stentano a ricordare.
Orgoglioso, impettito dal tributo che la sua città gli riserva (poco prima del concerto l’amministrazione comunale ha consegnato all’artista una maglia del Foggia calcio e una targa di ‘Umberto Giordano’) mostra le evoluzioni di vent’anni di Orchestra italiana. Variazioni su musica e parole non solo del classico universo partenopeo ma delle sue stesse canzoni. ‘Smorz ‘e llights’ si fa vagamente rap, ‘Maruzzella’ modula suoni cubani, ‘Chella là’ si riveste di country, le percussioni impazzano.
La piazza balla e canta su ‘Quanno mammeta t’ha fatto’ e per la mitica ‘O surdato ‘nnammurato’. “Non vi sembri strano che a Foggia le canzoni napoletane si conoscano così bene”, suggerisce agli orchestrali, quindici musicisti nati e formati in Campania con cui duetta scherzando, musica a parte. Mandolinisti? “Quando fondammo l’orchestra erano scomparsi, ci suggerirono di cercarli a Napoli sull’elenco telefonico alla voce Esposito”.
Sullo schermo gigante le immagini propongono il viso di Totò, sta partendo ‘Malefemmena’, o di Domenico Modugno dal cui repertorio sceglie ‘Piove’. Gianni Conte, una delle voci maschili del gruppo si inerpica su ‘Nessun Dorma’, da far invidia ai tenori di fama, Barbara Bonaiuto, unica voce femminile, interpreta ‘Voce ‘e notte, dalla tradizione della serenata. Un ricamo.
Entra in scena con il cappello Renzo Arbore: “Me lo tolgo davanti al pubblico di Foggia”. Comincia con ‘Reginella’, forse sulla stessa linea del saluto, ‘Dicitencello vuje’ non ha età e col timbro di Arbore fa ondeggiare il fiume. E’ tutto un crescendo fra Murolo, Carosone, cavalli di battaglia del repertorio artistico di Arbore: “Tante canzoni le ho imparate qua, la canzone napoletana è di tutto il sud”. Per l’arrivo in Sicilia è già tutto esaurito, come nella notte dell’Assunta alla vigilia dei fuochi pirotecnici oltre il pronao della villa.
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