Dio tuona ma non parla, e Noè si arrabbia perché almeno il giorno del suo compleanno (601 anni non sono certo uno scherzo) vorrebbe un segno, una condivisione, un amico sull’arca. E invece solo pioggia infinita e squali. Così immagina il Diluvio universale la ‘Piccola compagnia impertinente’ nell’interpretazione di Pierluigi Bevilacqua, testo di Enrico Cibelli, costumi di Monica Raponi (lo spettacolo andrà in scena anche il 28, 29 e 30 dicembre). Un monologo serrato che dura oltre un’ora mentre il vegliardo passeggia tra paglia e funi con un orto improvvisato sul tetto. Con quel clima umido si può permettere di coltivare la sua passione, l’agricoltura, cui Dio l’ha strappato per immergerlo in un oceano infinito, solo, senza che nessuno si sia presentato, nemmeno la sua famiglia: Cam Sem, Jafet e la moglie Naamah non hanno voluto seguirlo.
Più che ‘L’ansia di Noè’ per una tempesta quasi eterna, va in scena il dramma dell’incomunicabilità tra lui e Dio, oltre che una critica della legge per cui alcuni si salvano e altri no, alcuni sono eletti ed altri no. Domande esistenziali che nei giorni di pioggia senza fine, come intorno al fuoco quando fuori nevica, ha tutto il tempo di porsi. Le rivolge lassù, alla luce che risponde tuonando quando dissente, ma non dice mai di condividere.
Bevilacqua rivisita alcuni passi della Genesi giocando su un’interpretazione molto appassionata che oscilla tra l’ironico- lui che fa amicizia con una mosca, poi con una lucertola e si presenta con garbo, quasi fosse un carcerato in isolamento che parla ai fantasmi per restare vivo- e il dolore della solitudine, del tormento per una famiglia che non ha voluto seguirlo, dunque è pasto per i pescecani. “Io non ho paura di morire- pronuncia con piglio da profeta verso la fine- ma di ricordare tutto questo”.
Con furia icastica ricostruisce gli attimi dell’addio e il tira e molla del “salgo/non salgo”. Contrariamente alla tradizione biblica, che la moglie di Noè vede solo citata, nella rilettura della Compagnia Naamah prende spazio e forma, incide nel cuore del marito in assenza. L’idea della famiglia che si salva da sola proprio non andava a genio a chi il testo l’ha rivisto. “Ti faccio fare un bel viaggio su un’arca di cedro – propone lui allettante – l’unico bel viaggio con un tempo di me…”. Scherza e poi piange, si dispera, affonda la testa nel catino di rame che sta in scena per tutto il tempo, assieme alle uova dell’ultimo zabaione possibile dato che gli animali si sono estinti o stanno per estinguersi.
Ma il vino c’è, in abbondanza: “Per questo ero nato, per far crescere vino, ma da soli col vino non si brinda”. Alza più volte il calice con la bevanda simbolo del lavoro dell’uomo, quello che i suoi avi disprezzavano come “opera diabolica” perché l’aratro il nonno non lo condivideva: “Nella terra bisogna scavare con le mani”. Un Noè che si emancipa rispetto ai suoi avi e che vorrebbe continuare il suo lavoro. Ma Dio comanda e lui ubbidisce contro ogni legame familiare e di sangue. Quanto gli costa!
Bevilacqua fa emergere il contrasto tra la vocazione, il destino, la salvezza e la legge, con incursioni in quell’antico testamento da cui nasce la rappresentazione ed è spesso terreno fecondo per rielaborazioni e riletture, dal teatro al cinema. Insomma anche la storia di Adamo punito per curiosità non va bene, e nemmeno Abele era proprio uno stinco di santo.
Quel Dio con cui tenta un’interlocuzione è violento, ha voluto una carneficina e la salvezza di pochi violando le stesse regole del cosmo: “Se hai diviso cielo e terra perché mandi un diluvio in cui l’ordine da te stabilito non si riconosce più?”. Il testo appare irriverente secondo il timbro della Compagnia senza mai essere blasfemo e trasforma un passo della Bibbia in un tormentato ed impegnativo soliloquio moderno. “Salva chi sta per affogare, questa la legge del mare: come si può venir meno?”.
L’Altissimo tace ma potrebbe anche in un tuono far sentire la sua voce vista la forza evocatrice delle parole di Noè e la sua rabbia possente, una specie di Michelangelo che impreca contro la scultura: “Perché non parli?’’. E’ un dialogo senza remore tra un Dio duro che punisce ed un uomo che soffre la perdita dei suoi ma, soprattutto, cerca attenzione e risposte in un conflitto profondo e lacerante da eroe tragico.
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